ATTENZIONE AL DOVERE D’INFORMARE DELL’AVVOCATO!!

DOVERE D’INFORMARE DELL’AVVOCATO: CONFUSIONE SULL’OBBLIGAZIONE DI RISULTATO – Articolo di Nicola TODESCHINI

Pubblico articolo del Collega Todeschini, formato alla scuola Cendon, che si autodefinisce Avvocato “esistenzialista” in omaggio alla creatura del suo mentore, iscritto al foro di Treviso, mi piace molto il suo credo per come lui stesso lo definisce: “crede nella professione siccome ispirata alla riparazione dei torti”. Membro di Cendon & Partners. studiolegaletodeschini.it

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La pronuncia del Tribunale di Verona, sez. III civile, del 28/05/2013, riporta ahi noi alla ribalta, immeritatamente, la noiosa ed inutile distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato e, inoltre, traccia interessanti parallelismi (era ora!) con l’obbligazione del sanitario.

In passato, anche in occasione di una relazione pronunciata durante un importante convegno presso l’aula magna del Tribunale di Milano, chi scrive ha indicato, senza peraltro far sfoggio di alcuna attività divinatoria, il percorso della responsabilità dell’avvocato, anche per difetto del dovere di informare, assegnandogli un tracciato parallelo a quello pensato per i sanitari nonostante alcune pronunce del passato giustificassero la sensazione che pure la Corte di Cassazione con gli avvocati fosse più morbida di quanto non appaia con i sanitari.

Ricordo che sull’argomento ebbi anche una discussione assai interessante con il prof. Fiori, che imputava proprio alla Corte di Cassazione un atteggiamento eccessivamente rigido, proprio in tema di distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato, a danno dei sanitari e non degli avvocati.

Allora, circa una decina d’anni fa, replicai che trovavo assolutamente iniquo applicare un’interpretazione diversa delle stesse regole agli avvocati piuttosto che ai sanitari, tenuto conto, appunto, della circostanza della comunione assoluta di regole.

L’evoluzione della giurisprudenza sul dovere d’informare dei sanitari ha fatto quindi da traino, sin qui, anche a quello degli avvocati seppur residuino, come nel caso in discussione, arresti di merito che non fanno propria la miglior linea ermeneutica della Corte di Cassazione in tema di corretto inquadramento del dovere di informare nell’obbligazione, ma si poggiano, seppur con l’intenzione di parzialmente innovare, su di una distinzione, qual’è quella tra obbligazioni di mezzi e di risultato, che continua ad essere foriera di confusione, peraltro superabile.

Il risultato è che i primi commenti della pronuncia poggiano giustamente enfasi sull’attribuzione che il giudice di Verona fa all’obbligazione d’informazione dell’avvocato, qualificandola come di risultato quando, a ben vedere, per aderire alle pronunce della Cassazione che pur cita nelle ampie motivazioni non avrebbe avuto alcun bisogno di scomodare l’accademica distinzione ma giovarsi invece della possibile ricostruzione sistematica coerente che da tale distinzione prescinde del tutto.

Invero, come più volte affermato, l’art. 1176 c.c. domina la scena delle regole sull’adempimento di tutte le obbligazioni e non solo di alcune di esse, così che il richiamo alla distinzione tra obbligazioni di mezzi, alle quali sarebbe applicabile il principio di diligenza quale criterio di responsabilità, opposte alle obbligazioni di risultato, alle quali si applicherebbe invece la regola di cui all’art. 1218 c.c. per la quale allorché non si ottenga il risultato, la responsabilità discende automaticamente, è una distinzione accademia, scolastica, che trascende il contenuto dell’art. 1176 così come spiegato dall’art. 2236 c.c. che ben si accompagna, senza alcun contrasto, con l’art. 1218.

La diligenza è, per tutte le obbligazioni, criterio di responsabilità e di determinazione del contenuto dell’obbligazione ed è connaturata alla natura del caso; allorché il caso sia particolarmente difficile, e travalichi le attese capacità del prestatore dell’opera (sia esso l’avvocato o il sanitario), la severità del giudizio di responsabilità basato sulla diligenza va temperata a condizione, ben inteso, che il vizio della diligenza consista nell’imperizia e non nell’imprudenza e/o negligenza.

In tali due ultime ipotesi, invero, non ha significato temperare la severità del giudizio poiché il debitore della prestazione allorché sia imprudente e/o negligente, non subisce la difficoltà del caso pur esprimendo impegno, ma difetta proprio nella prestazione dell’impegno, dell’attenzione e della lungimiranza minimi richiesti invece affinchè l’atteggiamento adempiente sia congruo.

Tali princìpi, solo succintamente richiamati, si possono applicare per intero, senza ulteriori distinzioni di sorta, sia all’avvocato che al sanitario.

Il dovere di informare, di entrambi, lo si ripete, discende proprio dalla diligenza e, di recente, la Corte di Cassazione (vedasi precedente contributo) ha assegnato il difetto di informazione al vizio della negligenza, così spiegando che di fronte al difetto del dovere d’informare, che priva paziente e/o cliente del diritto ad autodeterminarsi consapevolmente alla cura ovvero alla consulenza giuridica, la prestazione è viziata da inadempimento, a prescindere anche dall’esecuzione tecnicamente perita della residua prestazione e dà diritto, al creditore della prestazione, di chiedere il risarcimento del danno.

Per risolvere il caso affrontato dal Tribunale di Verona, non era invero assolutamente necessario discostarsi da tale ricostruzione coerente del sistema della colpa civile.

In contesa v’era l’asserita, e parzialmente confermata, responsabilità dell’avvocato sostanzialmente per non aver eccepito l’intervenuta prescrizione di un reato in sede d’appello.

L’avvocato convenuto tenta di opporre a tale allegata responsabilità una diversa ricostruzione del flusso informativo con il cliente, sostenendo che questi sarebbe stato incline ad inseguire un’assoluzione nel merito e non la definizione per intervenuta prescrizione del reato.

Il giudice, di fronte a tali argomenti, rileva la necessità di affrontarli con riferimento al progredire ermeneutico della Corte di Cassazione in punto di dovere d’informare, procedendo così alla definizione della natura “del contenuto degli obblighi informativi gravanti sul professionista nell’ambito del contratto di prestazione d’opera intellettuale”. Richiama correttamente precorsa giurisprudenza, in particolare un arresto del Tribunale di L’Aquila del 06/07/2011, ove si afferma che l’opera del professionista deve anzitutto soddisfare il bisogno del cliente d’essere informato e di acquisire quindi quelle condizioni occorrenti per interpretare i dati della realtà e scegliere così la condotta più efficace per perseguire un determinato risultato. Osserva come tale dovere permei la prestazione sia in fase precontrattuale che contrattuale, e che deve pure consistere nell’informativa circa il grado di complessità dell’incarico ed ogni questione, anche successiva, che possa porre in discussione il fine che il cliente, seppur tendenzialmente, si ripromette. Rileva quindi che la Suprema Corte, in una pronuncia del 2002, la 16023 del 14 novembre, ha assegnato tale dovere d’informare proprio al dovere di diligenza sostenendo che “nell’ambito del dovere di diligenza rientrano a loro volta i doveri di informazione, di sollecitazione e di dissuasione, ai quali il professionista deve adempiere, così all’atto dell’assunzione del suo incarico come nel caso del suo svolgimento, prospettando anzitutto al cliente le questioni di fatto e/o di diritto, rilevabili ab origine o insorte successivamente, riscontrate ostative al raggiungimento del risultato e/o comunque produttive di un rischio e di conseguenze negative o dannose, invitandolo quindi a comunicargli ed a fornirgli gli elementi utili alla soluzione positiva delle questioni stesse, sconsigliandolo, infine, dall’intraprendere o proseguire la lite ove appaia improbabile tale positiva soluzione e, di conseguenza, probabile un esito sfavorevole o dannoso”. Al verificarsi di tale risultato sfavorevole e/o dannoso che il Tribunale di Verona definisce “risultato a cui mirava attraverso l’opera del professionista” e allorché il cliente attribuisca al professionista la ragione dell’insuccesso, spetta al professionista, sussistendo un rapporto contrattuale ed in conformità a quanto sostenuto dalle Sezioni Unite con la sentenza 13533 del 30/10/2011, offrire la prova di aver diligentemente adempiuto e, pertanto, pure di aver informato diligentemente il cliente.

Sin qui, in tutta franchezza, non si coglie alcun elemento criticabile nell’argomentare del magistrato ma la conseguenza che nelle righe successive trae dal richiamo a tali indiscutibili princìpi è invece assai poco condivisibile.

Il magistrato sostiene che “in tale prospettiva risulta evidente come l’obbligo informativo abbia natura di obbligazioni di risultato”.

Avrebbe piuttosto il giudice dovuto affermare che “in tale prospettiva risulta evidente che il dovere di informare sia dovere contrattuale e che a fronte dell’eccepito inadempimento, e dell’allegazione pure della violazione del dovere di informare, spetti al professionista, in tal caso l’avvocato ma se fosse un sanitario non cambierebbe nulla, offrire la prova di aver fornito l’informazione corretta e, quindi, di aver svolto diligentemente la consulenza.

Di fatto, al di là dell’affermazione, confusa, in ordine alla natura di obbligazione di risultato del dovere di informare, nelle successive righe il magistrato motiva la pronuncia proprio in tal senso allorché afferma che l’avvocato, convenuto in giudizio, avrebbe quindi dovuto dimostrare, per sottrarsi al giudizio di responsabilità per inadempimento degli obblighi su di lui gravanti, di aver esaminato e sottoposto ad entrambi gli attori la questione dell’intervenuta prescrizione del diritto di usura, che il cliente aveva richiesto o preteso di non porre la questione dell’intervenuta prescrizione, infine di aver fornito agli attori un’esaustiva informazione in ordine alle conseguenze che l’eventuale diversa scelta difensiva avrebbe comportato, sino a rappresentare solo l’esistenza di buone probabilità di ottenere una soluzione nel merito.

E’ agevole osservare come l’unica scivolata, in fondo, nell’argomentare delle motivazioni, costituisca l’attribuzione, incomprensibile, all’obbligo informativo della natura di obbligazione di risultato.

Emendata da tale presa di posizione, forse più dettata da euforia classificatoria che da consapevole tralignamento dei più recenti approdi della giurisprudenza della Corte di Cassazione in merito, la pronuncia conferma la bontà di tale ultima presa di posizione della Corte di Cassazione e l’allineamento progressivo e dovuto della responsabilità dell’avvocato a quella del sanitario, anche in punto di dovere d’informazione.

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Marco De Fazi

L'Avvocato Marco De Fazi, classe 1961, si è laureato nel 1986 ed si è abilitato alla professione nel 1990: è cassazionista dal 2002 e lavora nello studio associato di famiglia. Ha ereditato dal padre, Avv. Walter De Fazi (mancato nel 2011 dopo 60 anni di professione), la passione per la responsabilità civile. Ha fatto parte di commissioni di studio consiliari ed associative, ed è stato per dieci anni il rappresentante italiano del network europeo PEOPIL (Pan-European Organization of Personal Injury Lawyers). Parla e scrive fluentemente inglese ed in misura più scolastica francese. Ha fatto parte della Commissione per l'esame di Avvocato 2007 ed è membro storico del Direttivo dell'Associazione Forense Emilio Conte, di cui ora è il presidente. Membro attivo della NIABA, associazione USA di avvocati italo-americani.