L’Associazione Forense “Emilio Conte” contribuisce con il presente contributo al dibattito aperto dal Movimento Forense sulla riforma del codice di procedura civile.
Più in generale, per la verità, trattandosi di proposte che attengono alla velocizzazione ed economicità del giudizio di cognizione e di un procedimento monitorio, il nostro contributo si inserisce nelle istanze dell’UE e del mercato per una razionalizzazione del sistema Giustizia in Italia.
Si tratta in entrambi i casi di proposte di riforma che non costano veramente nulla, che alleggeriscono cancellerie e giudici, che velocizzano i tempi della giustizia e che possono portare ad un vantaggio economico anche per le parti, limitando l’attività giurisdizionale e, con essa, le voci di onorario e di competenze applicabili.
Le abbiamo chiamate “indecenti” proprio per questo: perché non costano nulla, fanno risparmiare e nessuno può specularci sopra.
- Previsione di decreto ingiuntivo diretto emesso dall’Avvocato.
L’idea era da me già stata abbozzata in un mio articolo (“Libertà ed Avvocatura. Proteste e Proposte” in www.studiomarvasi.it)
Propugnavo in quello scritto una riforma del decreto ingiuntivo, prevedendo che alcuni di essi – quelli (decine di migliaia l’anno) basati su fatture ed estratto dei libri contabili – potessero essere emessi direttamente dagli Avvocati.
In quel mio articolo affermavo:
«Non è certo colpa degli Avvocati, ad esempio, se al Tribunale di Roma il tempo medio per l’emissione dei decreti ingiuntivi è superiore ai tre mesi.
Ce ne sono troppi? Ciò non perché gli Avvocati siano troppi, ma perché proprio la lentezza della reazione all’inadempimento induce il debitore ad approfittarsi. Se l’ingiunzione legale di pagamento arrivasse appena scaduto il termine per l’adempimento si darebbe una sicura riduzione dei ricorsi.
Così, anziché delegare l’Avvocato ad emettere ingiunzioni di pagamento non esecutive, basate su meri riscontri formali (ad esempio le decine di migliaia di decreti basati su fatture annotate sulle scritture contabili del creditore) e di fare esaminare dal giudice solamente le opposizioni (magari con un procedimento semplificato ed immediato), si determinano ostacoli alla proposizione della domanda. Con aumento del costo di accesso, con ostacoli agli appelli ed alle inibitorie, addirittura con impedimenti reali ai giudizi di legittimità, che sono soprattutto nell’interesse della legge. Con l’unico effetto di allungare ancora i tempi, di aumentare i costi e di determinare altro ingorgo nel sistema, con la necessità di nuovi controlli».
L’idea di base era quella di delegare gli Avvocati a compiere un compito che il giudice non riesce a svolgere in tempi ragionevoli.
Si trattava non di una semplice modifica o delega di una limitata competenza, ma di una rivoluzione, volendosi esaltare il ruolo dell’Avvocato, oggetto oggi di una denigrazione e visto come il moltiplicatore del contenzioso e alimentatore della crisi della giustizia: laddove, al contrario – lo affermo con la massima forza – l’Avvocatura primeggia in maniera assoluta tra i protagonisti della Giustizia e la Giustizia non funzione perché non funziona la parte pubblica del sistema.
Non vedo controindicazioni alla riforma proposta.
Ovviamente i decreti ingiuntivi non sarebbero immediatamente esecutivi (non potrebbero esserlo neppure oggi); in caso di opposizione si determinerebbe un contenzioso a cognizione piena; se non venisse proposta l’esecuzione il giudice, chiamato a dichiarare l’esecutorietà del decreto, potrebbe esercitare il controllo di legittimità e rifiutarla se il decreto fosse stato emesso al di fuori della competenza e senza i presupposti indicati.
Non abbozzo un articolato, che non mi pare, però, complesso.
- Giudizio di cognizione introdotto mediante un quesito.
La seconda proposta concerne una nuova specie di giudiziosi cognizione.
Anche questa si basa sulla esaltazione del ruolo dell’Avvocato, piuttosto che sulla sua umiliazione.
L’ipotesi si basa sulla constatazione – derivatami dalla mia (ahimè!) ultratrentennale esperienza – che spesso si potrebbe limitare la lite a uno o a due o tre punti di discordia.
In effetti negli incontri tra colleghi che sempre precedono la proposizione di cause, nel tentativo per l’appunto di scongiurarle (e soltanto per questo chi ha inventato la mediazione, inutile balzello per sottrarre soldi e tempo ai cittadini, dovrebbe andare all’inferno) accade che, nella discussione tra avvocati, si circoscriva la causa al suo quesito essenziale.
Se non si raggiunge un accordo sulla soluzione dello stesso, una delle due parti inevitabilmente adirà il tribunale.
A questo punto il rito, le decadenze sempre in numero maggiore comminate da ciascuna riforma, l’impossibilità di dare per pacifici e dimostrati i fatti (sui quali, quindi occorre dare piena prova) impongono di indicare nell’atto introduttivo tutte le possibili variabili della domanda ed i mezzi di prova.
La controversia, che nel dialogo pre-giudiziale tra gli avvocati era stata circoscritta necessariamente si allarga nel contatto con la giurisdizione: e si allarga ancora di più con le deduzioni ed eccezioni della parte convenuta e con domande riconvenzionali che magari trovano proprio origine in alcuna delle domande principali.
Eppure, salvo casi di mala fede o di persistente interesse ad avvalersi dell’incapacità della giustizia italiana di dare risposte veloci e sicure, sfruttando i tempi lunghi della decisione, le parti – quelle produttive, inserite nel mercato – hanno quasi sempre necessità e volontà di una decisione rapida.
Se venisse quindi apprestato uno strumento processuale che consentisse di limitare la controversia al suo punto essenziale, evitando l’istruttoria e dando per ammessi i presupposti di fatto, si potrebbe pervenire ad una soluzione rapida ed efficace.
Necessariamente ritengo che essa possa applicarsi unicamente ai diritti disponibili ed in materie non devolute alla competenza di sezioni specializzate e con riti particolari, né che essa ovviamente possa applicarsi alle questioni di volontaria giurisdizione, anche se oggettivamente contenziose.
Ritengo la soluzione proposta percorribile non solamente in casi limitati di sentenze di mero accertamento in cui oggettivamente c’è solamente da dare un’interpretazione ad una legge che si presta a differenti soluzioni, ma anche nel caso di questioni che discendono da fatti, come nelle azioni risarcitorie.
Capita anche in tali ultimi casi che sia pacifico che il fatto si sia svolto in quel determinato modo, ma si nega che da esso derivino determinate conseguenze o che sussista il nesso di causalità tra evento e conseguenza lamentata.
In un giudizio “classico” non si dà nulla per ammesso. Nell’ipotesi che formulo avviene il contrario.
L’interesse per la decisione rapida deve essere tale che le parti siano indotte ad ammettere fin da subito ciò che è evidente e che sanno fin dall’inizio trattarsi di fatti che l’altra parte riuscirà a provare.
Per suscitare detto interesse la vicenda deve definirsi con una sentenza in un termine estremamente breve.
Si tratta di una riforma che non costa nulla e che rende snellissimo il processo.
Il giudice potrà risolvere la controversia senza neppure vedere le parti. Le parti saranno tenute ad un unico adempimento (il deposito del quesito accompagnato dalle memorie illustrative delle differenti soluzioni), la cancelleria non dovrà svolgere alcun adempimento, a parte annotare la causa sui propri registri, trasmettere il fascicolo al magistrato designato, procedere alla formalità del deposito della sentenza e della sua comunicazione alle parti.
L’unica complicazione alla vicenda può essere data dalla convocazione delle parti “per chiarimenti” davanti al giudice. Questa però può avvenire soltanto una volta e non esonera mai il giudice dalla decisione.
La decisione succinta deve essere depositata in un termine breve e notificata integralmente alle parti. Queste – come condizione per accedere al particolare procedimento – avranno dovuto accordarsi preventivamente ad omettere l’appello: il termine breve di sessanta giorni per l’eventuale ricorso per cassazione decorrerà dalla notificazione della decisione a cura della cancelleria.
Ovviamente, trattandosi di un procedimento che si basa su un accordo già raggiunto dalle parti grazie all’attività degli avvocati, l’esperimento del tentativo di mediazione non sarà necessario, neppure quando esso fosse condizione dell’azione proposta in via ordinaria.
Al mio livello di esperienza e per il modo in cui io ho svolto e svolgo la professione di avvocato una siffatta possibilità avrebbe grande successo.
Confesso che non so valutare se essa – richiedendo una particolare sensibilità giuridica ed un interesse non speculativo – possa adattarsi anche a questioni diverse.
Ma lancio la mia proposta indecente (indecente perché non costa nulla e tocca veramente qualche posizione di potere) in maniera onesta, confidando nel contributo di chi riterrà di dovermi prendere in considerazione.
*
Di seguito formulo un articolato, che potrebbe essere inserito nel codice di rito (ad esempio l’articolato potrebbe sostituire la Sezione II del Capo I del Titolo I del Libro II del codice di procedura civile: rimpiazzando gli abrogati artt. 172 e 173 e ponendo il supersistite art. 174, sull’immutabilità del giudice istruttore in una nuova Sezione III).
Modifica al codice di procedura civile.
Giudizi introdotti mediante quesito.
Art. 1) Relativamente a questioni inerenti diritti disponibili e non riservata dal codice ad un rito speciale o alla competenza delle sezioni specializzate del lavoro, della famiglia e fallimentare, il giudizio può essere introdotto anche mediante un quesito formulato consensualmente da tutte le parti, ciascuna di esse assistita da un avvocato, e sottoscritto personalmente dalle stesse e dai loro difensori.
Il quesito dovrà essere sintetico e contenere:
1) l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; le parti possono derogare alla competenza per territorio;
2) il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale di ciascuna delle parti e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se alcuna delle parti è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio;
3) il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura, che deve essere rilasciata prima del deposito del quesito al tribunale;
4) la dichiarazione che le parti sono d’accordo per omettere l’appello e che esse sono consapevoli che l’impugnazione potrà proporsi soltanto con ricorso per cassazione a norma dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3;
5) la formulazione precisa delle questioni di diritto che dovranno essere decise dal tribunale, preceduta, quando occorre, da eventuali elementi di fatto pacificamente ritenuti da tutte le parti e l’indicazione di eventuali documenti presupposto comune della domanda.
Il quesito dovrà essere depositato in tribunale entro cinque giorni dalla sua sottoscrizione.
Unitamente al quesito dovranno essere depositati i documenti in esso indicati e le memorie illustrative delle differenti soluzioni proposte, che i difensori delle parti si saranno preventivamente scambiate tra di loro, nel contraddittorio tra di loro determinatosi.
Art. 2) Il tribunale, sempre in composizione monocratica qualsiasi sia la materia oggetto della decisione, deciderà la causa con sentenza motivata succintamente da depositarsi entro trenta giorni dal deposito del quesito.
Se il giudice designato riterrà non correttamente formulato il quesito o riterrà di dovere avere chiarimenti convocherà le parti personalmente davanti a sé in udienza da tenersi entro trenta giorni dal deposito del quesito per ottenere i necessari chiarimenti. Dopo tale udienza il giudice deciderà la causa con sentenza da depositarsi entro i successivi trenta giorni.
L’inammissibilità della domanda non potrà mai essere dichiarata per non chiara o erronea formulazione dei quesiti.
Le decisioni che dichiarano l’inammissibilità o l’improcedibilità della domanda devono essere impugnate con regolamento di competenza.
Ciascuna parte sopporterà le spese del giudizio, che si intendono sempre compensate.
Art. 3) La sentenza resa ai sensi del precedente articolo sarà notificata integralmente a cura della cancelleria alle parti, a mezzo fax o posta elettronica certificata.
Il ricorso per cassazione potrà essere proposto entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza avvenuta ai sensi del precedente comma.
Per i giudizi da risolversi ai sensi del presente Capo è dovuto il contributo unificato stabilito per la cause di valore indeterminato, qualsiasi sia il valore della controversia.
La proposizione del quesito esonera le parti dallo svolgere il tentativo di mediazione, anche quando questo fosse condizione dell’azione proposta in via ordinaria.