L’Europa: ultima spiaggia o colpo di grazia per l’avvocatura italiana?
Le negatività che i grandi numeri hanno determinato e continuano a determinare, in danno all’Avvocatura italiana, sono sotto gli occhi di tutti e assai difficile sarà per chi scrive poter dire qualche cosa di nuovo. Le poche righe che seguono, pertanto, sono soltanto modeste considerazioni di un giovane Avvocato di quarantuno anni che, come molti altri Colleghi, riflette spesso sul futuro di questa bellissima professione ormai quotidianamente sempre più difficile.
Sin da piccolo ho ricevuto l’insegnamento che la qualità è incompatibile con la quantità, poiché se s’intende curare la prima, si è costretti a sacrificare la seconda, e viceversa. Ad esempio nel mondo contadino dei miei nonni, mi veniva detto che se si vuole ottenere un olio di oliva con un particolare profumo ed aroma, un tasso di acidità basso, si dovrà rinunciare ad una maggior resa, poiché le olive andranno raccolte prima delle piena maturazione.
Personalmente sono convinto che tale equazione risulti applicabile anche all’Avvocatura, vedremo più avanti in che termini.
Nel 2012 possiamo parlare ancora di Professione Forense oppure solo di mercato? Visti i numeri, le scelte Governative e quelle Legislative, sicuramente più di mercato. Questo perché sembra fortemente compromessa quella autonomia dettata dall’essere liberi nella mente e nella professione, da intendersi quale scelta consapevole e non dettata da alcuno. Certamente l’Avvocatura ha iniziato a risentire da anni del numero sempre crescente d’iscritti, che da un lato non sempre sono stati in grado per volontà, capacità e necessità, a garantire il più alto livello qualitativo attraverso un costante aggiornamento, spesso per i costi molto alti che lo stesso implica, non da tutti sostenibili, dall’altro per la disponibilità di molti dei suoi appartenenti a scendere al di sotto di soglie, non soltanto per quanto concerne le tariffe professionali, che hanno umiliato ed umiliano il diretto interessato e l’intera categoria Forense.
Francamente credo alla soglia di incomprimibilità, ovvero a quel livello al disotto del quale il Vero Avvocato non scende mai, costi quel che costi. Ma visti i tempi tale rigore quanto potrà durare? Se di mercato e concorrenza parliamo, e non più di libera professione Forense, quanto poco fa detto non ha futuro, rimanendo compresso irrimediabilmente da una guerra dei prezzi, e da una concorrenza sleale che esula dal nostro mondo professionale.
I numeri, un fattore scatenante. Ma chi li ha determinati? I big dell’Avvocatura? I professori universitari? I politici? Una mancata e seria riforma dell’Università? La mancanza di una selezione per l’accesso alla professione Forense?
Certamente non tutti sono nati e portati per diventare Avvocati ed esserlo tutti i giorni.
Si, perché si è avvocati 365 giorni l’anno e non soltanto quando si è in Tribunale o seduti intorno ad un tavolo per esaminare e concludere una transazione.
Certo, dall’esame del contesto italiano nella sua globalità, sembrerebbe che a questo punto si sia giunti per una serie di fattori e circostanze, ovvero per una selezione universitaria non all’altezza di garantire soltanto ai migliori il conseguimento di una laurea, con ciò determinando già dalla fase della conclusione del ciclo accademico grandi numeri, mancando già nel corso di laurea un indirizzo specialistico, atto a garantire una formazione di alto profilo in un determinato orientamento: dell’Avvocatura, della Magistratura, del Notariato, della Pubblica Amministrazione. Ciò comporta che conseguita la laurea in giurisprudenza, si possa contemporaneamente fare pratica legale, notarile e studiare per il concorso in Magistratura. Fino a qui nulla quaestio, se non fosse che tale possibilità molto spesso determina un numero rilevante di “parcheggiati” ovvero di soggetto che interessati alla carriera in Magistratura, oppure a quella notarile, o ancora a quella dirigenziale nel Pubblico Impiego, verosimilmente superano al primo tentativo l’esame di abilitazione per la Professione Forense, ma non conseguendo analogo risultato relativamente al concorso per diventare Notaio o Magistrato, o ancora Funzionari di Stato, finiscono con il rimanere, spesso adattandosi e frustrandosi, poiché il loro sogno era un altro, a fare gli Avvocati, non avendone magari il taglio ed il talento per esercitare la Professione,
e con la mente orientata altrove.
E’ chiaro che il corto circuito fin qui descritto non fa che alimentare un’offerta altissima di Avvocati, in un “mercato” sempre meno bisognoso di professionisti.
La diretta conseguenza è che si è determinato da qualche tempo un forte squilibrio tra domanda e offerta, con l’atteggiamento dell’assistito “cliente”, che si sente forte poiché è consapevole che visti i grandi numeri di un’offerta spropositata, ritiene di potersi permettere di dettare e spuntare delle condizioni per lui sempre più vantaggiose, quanto umilianti per l’Avvocato che per “sopravvivere” sarà costretto ad accettare.
Chiaramente non tutti gli appartenenti alla Categoria Forense, sono favorevoli ad assecondare il mercato. Chi scrive è convinto e lo sarà fino a che ne avrà le energie, che la qualità da intendersi come onestà morale e intellettuale, prima che professionale, unita al rigore, allo scrupolo e alla forza di saper e voler dire anche no, a chi ci investe dell’esame di questioni molto delicate sotto il profilo del diritto e a volte di rilevante valore economico, alla lunga paghi.
Non sempre si può vincere. Alcune cause sono perse in partenza.
I grandi numeri determineranno, per molti Avvocati, una scelta cosciente e disperata, per non dire molto discutibile almeno sotto il profilo deontologico, dettata dalla necessità di dover fare fronte ai bisogni e ai costi della vita, procedendo necessariamente e consapevolmente verso un esito nefasto.
Non siamo in pochi a essere sempre più convinti che un vero e serio Professionista si veda proprio nei periodi più difficili. E’, infatti, nelle situazioni più complesse e compromesse, anche per quanto concerne l’aspetto economico, in altre parole per via delle difficoltà per fare quadrare i conti a fine mese, semestre e/o anno, che la “tentazione” di scegliere strade non ortodosse potrebbe più essere alta.
Sui numeri spropositati dell’Avvocatura Italiana si è detto e scritto molto e per contestarne gli effetti, che sul piano giudiziale avrebbero determinato, a dire di alcuni studiosi della categoria, un contenzioso dalle proporzioni sconsiderate, si è giunti anche a individuare quale ricetta “miracolosa” e/o “palliativo” l’obbligatorietà della mediazione.
Siamo sicuri che tale scelta non sia il frutto di un’incapacità e un disinteresse tanto della Politica dei Partiti quanto di quella Forense, dell’ultimo trentennio, nel non essere in grado di qualificare e limitare l’accesso all’Avvocatura?
E’ ormai diffusa in ogni iscritto la consapevolezza che i numeri fuori controlli stiano determinando più danni che altro, ma si coglie una certa “ipocrisia” ove pur sapendo che il vero male, il primo nemico dell’Avvocatura è il numero dei suoi appartenenti, non ci si adoperi per riportarli a un livello di equilibrio.
I magistrati stessi, in modo esplicito, si vedano i discorsi del primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione Ernesto Lupo all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011 e le interviste televisive del Cons. di Cassazione Piercamillo Davigo, per citarne a memoria soltanto due, ma di molti altri si potrebbe fare menzione, hanno evidenziato da tempo il problema del numero degli Avvocati italiani che è molto elevato, e desta preoccupazione.
Vogliamo ancora far finta di non sapere che i grandi numeri impoveriranno ancor di più gli Avvocati, determinando una standardizzazione dell’offerta e della resa professionale, con un livello medio baso per cliente, rendendo forti i grandi gruppi e le lobbie, che consapevoli di un’altissima offerta ed una medio bassa domanda, ed in virtù della possibilità di entrare come soci di capitali negli studi legali e nella realtà professionale forense, potranno ottenere molto a poco?
Non possiamo esimerci dal rapportarci con l’Europa e dal comprendere, anche tempestivamente, se potrà rivelarsi l’ultima spiaggia oppure il colpo di grazia per l’Avvocatura italiana.
Da qualche tempo in Italia siamo accusati, noi Avvocati, di essere i responsabili di tanti mali, ma non possiamo non ricordare che non c’è stata guerra per la conquista della libertà e della democrazia che non abbia visto impegnati sulle barricate, in trincea e negli scontri, anche i più cruenti, Avvocati, che per tali valori si sono battuti ed hanno sacrificato la propria vita.
Anche negli scorsi decenni Colleghi Valorosi, Uomini di morale e rigore fuori dal comune, hanno sacrificato la vita per dire no e contrastare il terrorismo, le associazioni mafiose ed il malaffare.
Gli innocenti, i deboli ed i meno fortunati nella vita, li tutelano da sempre gli Avvocati, garanti del rispetto delle Costituzione e delle leggi della Repubblica Italiana, tanto dentro le aule di Giustizia, quanto fuori.
Necessita urgentemente per le sorti dell’Avvocatura uno studio sui grandi numeri della stessa, sul loro effetto anche riguardo al mercato economico, potremmo farlo, verificando lo stato della Professione anche fuori dall’Italia.
Poiché se lo facessimo nel nostro paese, immediatamente, le accuse che ci sarebbero rivolte, sarebbero molteplici.
Ciò potrebbe apparire opportuno per dimostrare a tutti una volta per sempre, che i numeri stratosferici sono il vero male dell’Avvocatura, attraverso un incarico da conferire a un’Università europea, alla quale richiedere di studiare il “fenomeno italiano” e accertare se il numero degli Avvocati italiani rapportato al Paese risulti in asse oppure no, quali siano le conseguenze che si determinerebbero anche sul piano economico e finanziario senza interventi tempestivi, quale risulti essere il livello medio dell’Avvocato italiano sia sotto il profilo professionale che economico, comparando infine la situazione italiana con quella degli altri paesi europei, indicando gli interventi da porre in atto per ripristinare il giusto equilibrio tra domanda ed offerta.
Ovviamente se consideriamo l’aspetto relativo alla mentalità, che fa sempre la differenza in ogni contesto, sappiamo bene che negli altri paesi europei il contenzioso risulta l’estrema ratio.
Per questo, se dovessimo riuscire a spingerci fuori dall’Italia per ottenere delle risposte concrete da strutture accreditate, terze e imparziali, unitamente ad uno studio analitico della nostra realtà forense, si potrebbe parlare di una possibile svolta, comunque di un importante passo in avanti, fermo restando sempre il rischio che la stessa Europa possa ribadire che non vi è limita alle iscrizioni.
La passione che nutro verso la Professione Forense, condivisa da moltissimi Colleghi, per uno dei lavori più belli ma al tempo stesso sempre più difficile ed osteggiato da tanti, mi spinge a ritenere che l’Avvocatura Italiana non rimarrà inerte sul filo del baratro.