Tribunale Civile ore 9.30 si apre l’aula d’udienza, come formiche gli avvocati entrano a decine nell’angusta stanza che chiamiamo Aula d’udienza, larghezza, se va bene, 30 mq.
Si accalcano su un tavolo lungo un metro e venti e largo sessanta centimetri, su cui sono buttati decine e decine di fascicoli. Ogni fascicolo contiene carte e documenti che racchiudono la storia di normali cittadini che hanno bussato alla sgangherata porta della Giustizia. Per suonare il campanello di quella porta, lo Stato chiede loro somme ingenti, camuffate sotto la piacevole e quasi dolce voce di “Contributo Unificato”, quasi a far credere all’ignaro cittadino che quello sarà l’unico obolo da pagare per un servizio. Appena, però, si apre l’uscio, lo stesso Stato svela al povero, richiedente la tutela dei suoi diritti, ulteriori e non unificati oboli come le spese per la notifica dell’atto, le marche da bollo sulle copie dei verbali, ed infine la registrazione dell’agognata sentenza (questa è l’ultima ed anche lontana nel tempo).
La corsa al tavolo dei desideri, vede arrancare e sgomitare giovani ed anziani avvocati, sembrano dei piccoli Mennea, con l’unico fine di guadagnare il proprio fascicolo. Penserete: per scrivere prima? per leggerne il contenuto? No, per formare ed essere primi nel “mucchio”.
Dicasi “mucchio”, la pila ininterrotta dei fascicoli, aventi ordine decrescente che consente la trattazione della tua causa prima degli altri, evitando così di dover trattare la tua causa, fissata per la chiamata alle 9.30, all’alba delle 11.00.
Vi domanderete, perché non esiste un ordine cronologico o d’orario? La risposta è che le cause sono messe a gruppi di dieci alla stessa ora o frazione e quando il ruolo porta 30/40 cause capite da soli come andranno le cose .
In questo sgomitare e accalcarsi di corpi umani, in un angolo della stanza, c’è il Giudice che ormai non osserva neanche più la disputa, intento a guardare le mail della giornata o a leggere delle carte che si trova sul tavolo.
Finita la fase mucchio, inizia quella della ricerca del verbale, nuovamente mani si intrecciano e si impastano nel mucchio per tirare fuori dai fascicoli il foglio del verbale d’udienza su cui scrivere le mozioni e le richieste al giudice. Quando il foglio è completamente scritto, non è la cancelleria a dartene un altro, ma deve essere l’avvocato a portarselo da studio, se no il Giudice lo guarda e gli domanda : ora come si fa??
Il momento più emozionante è quando, finalmente, la pratica in alto al mucchio è la tua. In quel momento provi la sensazione di Buffon che alza la coppa del mondo: sei pronto, scattante, mentalmente ripassi tutto quello che devi dire e che hai già scritto, pronto a sederti sulla sedia innanzi a colui il quale dispenserà il giusto per il tuo assistito. Speri in quei minuti che ti separano dallo scranno giudicante, che Lui, il Giudice, ti ascolterà, che accoglierà le tue mozioni e richieste, che valorizzerà lo studio profuso per la pratica che stai difendendo.
Invece, non fai in tempo ad appoggiare delicatamente il fascicolo sul tavolo del Giudice, ad accennare di sederti sulla sedia posta innanzi a lui, che questo senza neanche alzare lo sguardo dal libro del ruolo, ti dice: – La causa è rinviata alla data del…
Dicasi “data del ..” il tempo intercorrente tra l’udienza appena fatta e l’altra che dovrà venire, (per i profani) circa sei mesi tra l’una e l’altra.
Allora, come il bambino preparato che cerca d’intervenire per farsi vedere, accenni un: – Ma veramente Volevo dire …” il Magistrato alza lo sguardo e con fare tra l’impietosito e l’infastidito, ti dice:- Avvocato non vede quante pratiche ho oggi sul ruolo? Mi hanno caricato il ruolo … ne parleremo la prossima volta.
Dicasi “prossima volta” scritti difensivi conclusionali, circa tre/ quattro anni da quando hai provato a parlare per spiegare le tue ragioni. In questi anni che trascorrono tra l’udienza della “prossima volta” e quella della precisazione delle conclusioni, avrai altri incontri, con lo stesso magistrato, se sei fortunato, o con altri se nel frattempo lo stesso non è stato trasferito o promosso ad altro ufficio. Ma i successivi giudici, avranno la stessa faccia e diranno le stesse impietose parole: – “ la prossima volta non vede il ruolo?”.
E se azzardi a chiedere umilmente, se sia possibile anticipare l’udienza di qualche mese, motivando la richiesta con valide argomentazioni d’urgenza o pericolo, la risposta impietosa è sempre la stessa il ruolo non me lo consente…, non vede il ruolo che ho, magari alla prossima udienza vediamo se è possibile.
Il pomeriggio al rientro in studio, l’avvocato preparerà le relazioni per i suoi clienti sullo svolgimento della loro udienza, e per pudore non descriverà quello che è successo, si limiterà a scrivere il rinvio ed il contenuto laconico dello stesso; non dirà che non ha potuto neanche parlare , si limiterà a mettere nero su bianco una data e “la prossima volta”.
Poi, la sera l’avvocato quando torna casa , dopo una giornata fatta di “la prossima volta”, carte, fax, memorie, dopo aver ascoltato il dolore e le preoccupazioni dei clienti, cercando di rilassarsi, di dimenticare la giornata, che dire frustrante è poco, si piazza innanzi al televisore e si sintonizza su Porta a Porta .
Quella la conoscete tutti come trasmissione e quindi non devo spiegarvi cos’è.
Sigla introduttiva, trillo del campanello, finto maggiordomo che apre la porta ed ecco che entra in scena il Conduttore, per capirci quello che da tangentopoli in poi ha creato il suo ascolto e sui plastici ha fatto diventare tutti i cittadini della Repubblica investigatori privati e criminologi. Per intenderci quel giornalista, Bruno Vespa, il cui segreto sta nel cognome che ai meno giovani ricorda piacevoli scampagnate e gite al mare, mentre agli allergici agli insetti momenti di panico.
All’improvviso, dopo due battute iniziali, l’avvocato scopre che in Tribunale non ci è mai andato, che tutte le mattine è andato in un teatro e che quello con cui parlava non era un Giudice della Repubblica, ma un attore, così come erano comparse quelle che facevano gli avvocati. Inizia a sospettare che anche la persona che è venuta al suo studio sia un sogno o un altro attore , mandato apposta dalla produzione per portare avanti il copione.
Infatti, il conduttore, in modo eloquente, come se tutti i giorni entrasse in quello che chiamano Tribunale e conoscesse lo svolgimento delle udienze, dice a tutti i cittadini che se le cose si svolgono così, se il processo è lento, se le sentenze non vengono scritte, la colpa è degli avvocati. Si, perché sono loro, gli avvocati, che hanno interesse a ché il processo sia lungo, sono loro che chiedono continui rinvii, che non parlano con il magistrato. Sono quegli uomini in nero che per lucrare allungano il brodo processuale, che speculano sui rinvii, che campano sulle cause.
Gli avvocati, che per questi maestri del giornalismo, relatori delle verità, non sono i difensori dei diritti, sono corvi neri che speculano sui clienti, sulla povera gente e su quei poveri imprenditori, che per loro disavventura si sono rivolti a loro per chiedere di rappresentare e difendere i loro interessi.
Ci racconta, poi, che la mediazione è l’arma per sconfiggere il processo e che gli avvocati sono contro, proprio perché non possono ritardare ed allungare il brodo e quindi non ci guadagnano. E per questo sono contro i cittadini, odiano i consumatori, sono spietati speculatori sulle sofferenze degli altri.
Da qui in poi, il torpore di colpo svanisce, il panico assale il povero avvocato, guarda con paura la moglie ed i figli, cerca di leggere nei loro occhi un segnale di pietà, nulla. Di colpo scopre che lui è il male, che se il suo cliente non riesce ad avere una sentenza, non dico giusta, ma una sentenza, la colpa è sua.
Basito ascolta e balbettando dice ai congiunti, quasi a difendersi da quelle affermazioni televisive, ma non è così: i rinvii li stabilisce il Giudice, io non posso ottenere neanche un’anticipazione d’udienza se il Giudice non vuole, le sentenze non le scrivo io, non posso influire sui tempi per emettere una sentenza.
Cerca di spiegare ai sempre più delusi familiari, che anche i Giudici sono in numero esiguo rispetto alle esigenze della Giustizia e che molti giudici non stanno più nei tribunali da anni, perché dislocati nei Ministeri o come Catricalà stanno al governo. Cerca nella sua strenua difesa di dire che anche la moglie di Vespa, nonostante sia Giudice lavora presso il Ministero della Giustizia e non mette piede in un’aula di Tribunale da anni. Incalza raccontando che è stata proprio la signora moglie del conduttore a volere e costruire la mediazione. Mediazione che esisteva già per le società ed imprese sin dal 2004 presso le Camere di Commercio ed è fallita per non uso; quindi che non è vero che eliminerà i processi , ma servirà solo a lasciare i processi per le imprese a danno dei cittadini e dei consumatori, relegandoli ad una non giustizia, ad un diritto mediato, anche a seguito dei continui aumenti dei famigerati contributi unificati.
Il povero avvocato, però, non ha un plastico per appassionare i parenti, non può ricostruire la scena di questo crimine contro la società, non ha l’impatto mediatico del giornalista che entra nelle case tutti i giorni, non è un giornalista che racconta la verità.
Sconfortato ed umiliato, si alza dal divano , fa un cenno a tutti e lentamente si allontana per andare a dormire.
Tribunale Civile ore 9.30. Oggi grazie a Dio ci sono udienze, un avvocato entrerà in aula d’udienza per difendere dei diritti, un cittadino aspetterà anni per avere una sentenza, ben conscio che l’attesa non dipende dal suo avvocato, avrà una sentenza scritta da un Giudice e non un diritto mediato. Gioirà o soffrirà all’esito con il suo legale, certo che in qualunque caso ha avuto la sua giustizia, che nessuno gli ha tolto, almeno per oggi, la sua dignità di difendere un suo diritto.
Avv. Antonio Caliò
Potrei dirvi che sono delegato OUA da quasi quattro anni, che ho fatto parte della Commissione Giovani creata dal mio Amico Antonio Conte, della camera di conciliazione della Corte d’Appello di Roma, che sono stato il coordinatore della commissione sulla mediazione dell’OUA, che faccio politica forense da oltre 15 anni.
Invece sono:
Antonio Caliò, nato a Messina il 1° marzo 1965, emigrato a Roma nel 1988 appena laureatomi in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi della mia Città natale.
Semplicemente un AVVOCATO