Non vorrei sembrare irriverente nei confronti del Congresso, ma la particolarità di questo oscuro momento storico, mi porta a leggere ciò che sta accadendo all’Avvocatura e alla Giustizia in un contesto più ampio.
Difatti, a causa della devastante incapacità della Politica, nel nostro Paese, come in tanti altri, si sta rafforzando lo “strapotere” della finanza speculativa: il mercato detta le leggi. Nel mondo i destini degli Stati, e degli uomini, sono appesi alle agenzie di rating e alle decisioni di spregiudicate oligarchie.
Le regole sono imposte dalla fredda economia.
In questo contesto, in Italia, giorno dopo giorno, veniamo espropriati delle nostre libertà, senza che si levino voci tonanti in difesa di quelle conquiste che, fino a poco tempo fa, venivano sbandierate ad ogni occasione come privilegi della democrazia, in contrapposizione alle dittature e alle tirannie.
Il Grande Fratello ci ascolta, ci osserva, ci scheda. Le nostre vite finiscono sui media in una gogna senza ritegno, e senza che il Garante della Privacy, così solerte nell’imporci di “nascondere” a sguardi indiscreti i nomi e gli affari dei nostri clienti nel nostro studio, così attento a cancellare i nomi delle parti dai ruoli dei processi (tanto per renderci la vita più facile!), adotti misure serie a tutela della vita privata di ciascuno di noi. Ma è in condizione di adottarle?
Un altro Garante, quello che ci multò pesantemente quando deliberammo l’astensione dalle udienze senza rispettare i termini di preavviso, minaccia sanzioni e provvedimenti, ma soltanto nei confronti dei deboli, di coloro che non ce la fanno più ad essere spremuti come limoni, e protestano scioperando. E minacciano di non rispettare le regole per la disperazione di non essere ascoltati, angosciati dal fatto che, per questo governo, manifestazioni e scioperi sono solamente folklore un po’ kitsch, e le pseudo riforme si fanno senza ascoltare nessuno.
Il terzo Garante ci perseguita con norme sulla concorrenza, sull’apertura degli albi, sull’abolizione delle tariffe, sulla pubblicità ecc. ecc.
E noi, storditi da questa gragnuola di colpi, traballiamo come pugili suonati, senza riuscire ad individuare una strategia che ci consenta di far valere il nostro indubitabile peso nella società.
Come se non bastasse, litighiamo tra noi, e non per trovare l’accordo su una linea d’intervento da seguire, ma per stabilire chi deve contare di più. Ma dove?
La Giustizia è diventata un simulacro di se stessa che non esito a definire INGIUSTIZIA.
Giustizia dei ricchi e dei potenti, giustizia degli ignoranti, giustizia dei prepotenti.
Eppure, tanti anni fa, quando muovevo i primi passi nel Foro, ero piena d’orgoglio perché appartenevo a una realtà sociale indispensabile in ogni aggregazione, con radici tanto antiche da nascere con l’intelligenza dell’uomo.
Ed ho cominciato a costruire nella mia mente un mondo in cui l’Avvocatura potesse esprimere al meglio la propria funzione a servizio della Comunità e dei diritti, nella convinzione che se la Classe Forense avesse avuto il ruolo che le compete nella società, sarebbe stato sempre più difficile ridurre gli spazi di libertà, diminuire o limitare le garanzie. E sarebbe stato più facile ridurre progressivamente le ingiustizie.
Sapevo che il ruolo dell’Avvocato nel processo era fondamentale, sapevo che l’Avvocato serviva non solo a tutelare qualcuno, ma anche a suscitare interrogativi nel giudice, a scatenare quella dialettica che comporta un migliore e più attento esame delle posizioni delle parti.
Sapevo che il Processo era una cosa seria e mi rendevo conto del fatto che lo Stato non investiva nella Giustizia. Né aveva intenzione di farlo.
Nel mio mondo, dunque, l’Avvocatura svolgeva il ruolo fondamentale di intermediazione tra il diritto del cittadino ad avere giustizia ed il dovere dello Stato di assicurare l’esercizio di quel diritto. Nel mio mondo era inconcepibile uno Stato che non si preoccupasse di potenziare sempre di più le funzioni e i poteri dell’intermediario, al duplice fine di conservare “sacralità” al processo e approntare gli strumenti necessari alle tutele dei suoi cittadini.
In tale contesto, proprio del mio mondo, lo Stato si adoperava per gestire al meglio ogni controversia, lasciando che approdasse alla giurisdizione solamente la soluzione dei casi più ostinati.
Sognavo, quindi, Avvocati preparati e corretti, in grado di incutere soggezione e rispetto nei clienti e nei giudici.
Sentivo che, quanto maggiore fosse stato il peso della Classe Forense nello stato, tanto maggiori sarebbero stati gli spazi di libertà e tanto minori gli spazi di ingiustizia.
Con queste premesse decisi di partecipare attivamente alla vita della categoria cercando di portare il mio contributo in questa direzione.
Cominciò quindi la mia militanza associativa, che mi portò eletta all’Organismo Unitario dell’Avvocatura.
Presto mi resi conto, purtroppo, del fatto che la categoria era lacerata e divisa, poco selezionata, poco consapevole del suo ruolo fondamentale sia nello stato che nella società, strutturalmente debole agli occhi di tutti, della politica come della magistratura, e soprattutto della gente.
Molto ha inciso nel costruire questa debolezza l’accesso indiscriminato agli albi: l’assenza di sbocchi di lavoro aveva portato a considerare la professione non la naturale conseguenza di una vocazione etica, ma un parcheggio di “sottooccupati”.
Via via, nel tempo, ho assistito ad una lunga sequela di torbide operazioni mediatiche e legislative, di offese e di emarginazioni, finalizzate ad indebolirne il peso sociale e a rendere sempre più difficile l’accesso del cittadino alla giustizia.
Contavamo sempre di meno.
In questo rapido declino siamo arrivati ai giorni nostri, nei quali il processo di delegittimazione ha subito una violenta accelerazione.
Il primo attacco all’autonomia venne con il Governo Prodi: l’Avvocatura scese in piazza, ma risultati concreti non ce ne furono o furono assai limitati.
Prodi cadde anche sull’onda delle proteste dei professionisti, ma il Governo successivo, che indubbiamente fu eletto anche con il consenso dei professionisti ai quali le forze politiche avevano promesso un cambiamento di rotta, tradì incredibilmente le aspettative e, proprio alla fine, assestò colpi ferali: chiusura dei tribunali, aumento dei costi della giustizia, snaturalizzazione delle professioni e, in particolare, della nostra.
La crisi politica, economica e soprattutto morale, è sotto gli occhi di tutti.
Oggi il nostro Paese, e l’Europa tutta, sono governati dai Mercati.
Ed i colpi assestati all’Avvocatura non si contano.
Noi abbiamo perso tanto, troppo, tempo.
Non voglio credere che per noi sia finita, ma certo siamo all’ultima spiaggia: o riusciamo a resistere e a recuperare terreno, o sarà la fine.
La fine di una Giustizia a misura d’uomo, distribuita capillarmente sul territorio, regolata da un’Avvocatura responsabile e preparata, in grado di gestirne ogni fase.
Dobbiamo lottare per avere Avvocati magistrati onorari, Avvocati mediatori preventivi, Avvocati preparati per il processo, Avvocati consulenti.
Non dobbiamo più accontentarci di battaglie di retroguardia, di briciole legislative, di promesse bugiarde: abbiamo il dovere di offrire serie e concrete soluzioni alternative.
Abbiamo detto troppi no, senza presentare un progetto globale di riforma condiviso non tanto della legge professionale (progetti ce ne sono stati a iosa), ma del ruolo dell’Avvocato nella giustizia e nella società, e della Giustizia intesa non solamente come processo, ma come fondamentale esigenza sociale alla quale la nostra categoria è la più indicata per dare risposte.
Se negli Avvocati fosse instillata la cultura della mediazione, attraverso la gestione diretta delle liti sarebbe possibile scremare gli affari che giungono al processo, sottrarre, di fatto, alimento alla giurisdizione, e valorizzare il nostro contributo. Sarebbe un passo avanti.
Ora bisognerà farlo per forza, visti i costi del processo.
Se fosse riservata alla magistratura onoraria una parte della giurisdizione, i diritti disponibili fino a una certa soglia di valore, e se la magistratura onoraria fosse reclutata solo tra gli avvocati, con tutte le garanzie necessarie in ordine alla preparazione, alla terzietà, alle incompatibilità, alla correttezza, al giusto compenso, il numero dei magistrati non dovrebbe essere aumentato, e i processi sarebbero più spediti e più “meditati”.
Se si pervenisse all’unità della giurisdizione, ad un processo unico con le stesse regole per tutti, tutto sarebbe più semplice e immediato,più chiaro.
Sicuramente ci sarebbero meno costi per lo Stato, e non ci sarebbero alibi per annientare la presenza capillare della giustizia sul territorio. Già! La Giustizia deve essere visibile ovunque, deve essere monito e saper dare risposte. Deve essere “a portata di mano” del cittadino.
Credo, che se la nostra categoria si strutturasse per assistere, con task forces operative in ogni foro, organizzate dai Consigli degli Ordini, tutti coloro che non hanno i mezzi economici, ridurremmo sicuramente gli spazi di ingiustizia, e svolgeremmo un servizio benemerito al Paese.
Avvocati paladini di Libertà, di Uguaglianza, di Giustizia.
Avvocati garanti dell’applicazione del Diritto e delle regole.
Avvocati in grado di assumere il ruolo principale e fondamentale nell’amministrazione della Giustizia, poiché categoria naturalmente vocata e sensibile.
Ed allora, con questo spirito guardo a Bari: potrebbe essere il Congresso della svolta e della rinascita. Chi non ha più niente da perdere spesso riesce a risorgere con rinnovata energia e potente vigore.
Con l’immaginazione percorro i vicoli della città vecchia ed arrivo di fronte alla Cattedrale di San Nicola.
Una cattedrale romanica di pietra bianca che si staglia nel cielo azzurro della Puglia. Di giorno acceca lo sguardo con la sua luminosa bellezza disegnata dai raggi del sole, di notte riflette la luna e induce a meditare sul Mistero.
E’ maestosa, splendida e rapisce il cuore.
L’effigie del Santo racconta dell’Esicasmo, di antiche preghiere, di acque tempestose che portano miracoli e salvano anime e corpi.
E’ l’icona scintillante di un Uomo della carità che si distinse per la sua generosità verso i poveri e i bisognosi. Un Santo capace di domare la forza dei venti e la violenza delle onde, invocato contro le ingiustizie.
La Puglia regala mille ricordi di Federico II, i suoi Codici, il suo spirito coraggioso e rivoluzionario, quel suo essere all’avanguardia, quella sua capacità di precorrere i tempi ed elevare la cultura e la società librandosi in alto, con lo sguardo pronto a seguire i suoi falchi in ascesa, sempre più sù, in quei cieli color turchese. Lo immagino mentre “azzarda” le sue idee innovative e costruisce il suo progetto di società, mentre apre la sua mente come le ali di un falco dispiegate nella massima tensione. Lo immagino mentre i suoi pensieri scendono veloci in picchiata, fulminei come saette, per tradurre nella pratica le sue teorie. Lasciando a testimonianza del suo ardire e della sua grandezza, mille e mille tracce visibili e concrete di un sapere che si sta perdendo e sacrificando sull’altare dell’economia.
E nelle notti silenziose e stellate, tutto parla…..
Sento che dovremmo essere un po’ come lui, sento che dovremmo osare e presentare al Paese e al Mondo un Manifesto dell’Avvocatura, per spiegare il nostro ruolo nella società in movimento, per rivendicare le nostre prerogative, per porci a servizio, per offrire soluzioni, con una visione “avvocatocentrica” del diritto e delle tutele.
Ed allora, dal profondo della mia anima si alza prepotente una preghiera:
San Nicola, tu che sei stato capace di domare la forza dei venti e la violenza delle onde, tu che sei invocato contro le ingiustizie, aiuta una categoria che su questa terra è chiamata a proteggere la società dalle ingiustizie!
A Bari, fai il miracolo!