COSA RIMANE DEL REGOLAMENTO SUL COMPENSO

Mentre si stanno votando alla Camera gli emendamenti alla proposta di riforma della professione forense, che certamente avranno il merito di dare nuovo significato alla frammentaria disciplina in tema di liberalizzazioni delle professioni, già legge dello Stato, osserviamo che sfuggono al dibattito parlamentare temi come quelli dell’autonomia e dell’indipendenza dell’avvocato messi in discussione con l’entrata in vigore del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, recante “la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate, ai sensi dell’art. 9, decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2012, n. 27” (d’ora in poi anche solo “Regolamento”), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 195 del 22 agosto 2012.

 

 

All’indomani dell’abrogazione delle tariffe forensi – i cui criteri potrebbero essere ancora utilizzati per la regolamentazione negoziale del compenso con il cliente, proprio grazie agli emendamenti in discussione alla Camera – il Regolamento ha attribuito all’autorità giudiziaria dei poteri di sindacato, di indirizzo e di controllo sull’attività forense che neanche i giudici possono avere se si vuole continuare ad alimentare il diritto vivente e garantire l’effettivo esercizio dell’azione a tutela dei diritti inalienabili della persona.

 

 

Questo è il cardine dell’intera riforma in materia di liquidazione giudiziale del compenso professionale.

 

 

Non si sta parlando soltanto di determinazione dell’emolumento ma di come l’avvocato potrà continuare a svolgere la sua attività.

 

 

Il vero tema in gioco è la garanzia della tutela del diritto di difesa e il modo attraverso il quale ogni persona nel nostro Paese potrà in concreto esercitarlo.

 

 

Quello che sta accadendo in queste ore sembra purtroppo confermare quanto chi vi scrive aveva sospettato ed espresso commentando il Regolamento in questi termini: “L’impianto della disciplina potrebbe indurre a pensare che si è scelto il tema del compenso per regolare anche altro e poter, se necessario, dissipare ogni dissenso attraverso un semplice slogan: l’avvocatura insorge solo quando in un momento in cui tutti fanno i sacrifici si interviene incisivamente per eliminare i paletti alla libera concorrenza e adeguare ai tempi che corrono i loro compensi.

 

 

In effetti, non è solo della misura del compenso che si discute e comunque può sempre essere risolto questo problema attraverso la sottoscrizione di un accordo economico.

 

 

Così che, per effetto della riforma, solo il cliente che stipula l’accordo economico sarà veramente libero di esercitare l’azione e libero di difendersi.

 

 

Così che si potrebbero intravedere due avvocature, due mondi e due giustizie” (tratto da “Commento al regolamento sul compenso all’avvocato” di prossima pubblicazione, con prefazione “A viso aperto” di Tommaso Marvasi, edito da Officina Giuridica Ianua, 2012).

 

 

Il nostro compito è quello mantenere vivo il dibattito e il confronto sui temi cari all’avvocatura, perché questi, per l’alta funzione che l’avvocato è chiamato a svolge quotidianamente in una società, ubi societas ibi ius, non sono espressione di un impegno a tutela di un interesse di categoria ma garanzia del rispetto dei diritti di ogni persona.

 

 

Non possiamo allora dimenticare il significato e gli effetti che potranno avere le norme che introducono criteri di liquidazione del compenso basati su concetti quali, ad esempio, la complessità, l’importanza, il pregio o l’urgenza dell’opera, rimessi per loro natura al pieno e insindacabile apprezzamento del giudice e neanche quelli che facendo riferimento a soglie numeriche sono lasciati comunque alla discrezionalità del giudicante non essendo previsto alcun obbligo di motivazione e tra l’altro che: «in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa» (art. 1, settimo comma).

 

 

In questo contesto il Regolamento ha introdotto nel nostro ordinamento, rappresentando una assoluta novità senza precedenti, regole alle quali il giudice dovrà attenersi aventi che mirano surrettiziamente a provocare disinteresse dell’avvocatura per alcune tipologie di contenzioso, a discapito delle categorie di persone più deboli, ovvero al controllo dell’attività dell’avvocato o all’indirizzo di questa.

 

 

Regole che sanciscono una ingiustificata riduzione del compenso che sarebbe spettato all’avvocato in base ai criteri generali (si vedano ad esempio gli artt. 8, 9 e 10), salvo diversa decisione del giudice, questa volta da motivare.

 

 

Gli emendamenti in discussione alla Camera se approvati secondo le notizie trapelate potrebbero cancellare o limitare l’ambito di applicazione dell’art. 1, sesto comma, che ancora prevede: «l’assenza di prova del preventivo di massima di cui all’art. 9, comma 4, terzo periodo, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell’organo giurisdizionale per la liquidazione del compenso».

 

 

Tuttavia ne rimarrebbero altre di regole, come quelle solo apparentemente premiali (si vedano, ad esempio, l’art. 3, terzo comma, che stabilisce: «quando l’affare si conclude con una conciliazione, il compenso è aumentato fino al 40 per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile a norma dei commi che precedono» oppure l’art. 4, comma quinto:, secondo il quale: «quando il procedimento si conclude con una conciliazione, il compenso è aumentato fino al 25 per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile a norma dell’articolo 11») basate sulla presunzione che l’avvocato avrebbe l’interesse a procrastinare la decisione a discapito del cliente e della collettività gravata per questo di maggiori costi per la giustizia, e quelle aventi finalità d’indirizzo o di controllo sull’attività difensiva (come per effetto dell’art. 4, sesto comma, secondo cui: «costituisce elemento di valutazione negativa, in sede di liquidazione giudiziale del compenso, l’adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli» o, se preferite, l’equivalente prevista in sede giudiziale penale, di cui all’art. 12, sesto comma, secondo cui: «costituisce elemento di valutazione negativa in sede di liquidazione giudiziale del compenso l’adozione di condotte dilatorie tali da ostacolare la definizione del procedimento in tempi ragionevoli»).

 

 

Con il Regolamento sono state introdotte due diverse formulazioni di carattere punitivo che consentiranno all’organo giurisdizionale di condizionare in vario modo l’attività dell’avvocato: a) per effetto della prima tipologia (esempio artt. 8, 9 e 10 ecc.) il giudice, anche al solo fine di procedere rapidamente e ridurre il carico di lavoro, che inevitabilmente deriverà da una tale farraginosa procedura, sarà disposto a seguire alla lettera i criteri generali e le previsioni particolari del Regolamento, stando attendo a non “uscire dal seminato” per non dover motivare la decisione difforme e così giungere, per la interrelazione dei criteri, alla liquidazione di un esiguo e mortificante compenso; b) mentre per effetto della seconda tipologia il giudice, assumendo un ruolo decisamente più attivo, potrebbe discrezionalmente applicare una previsione di carattere punitivo (come ad esempio qualora ritenesse che il mancato assenso dell’avvocato alla rilettura degli atti del processo in caso di mutamento del collegio nel giudizio penale non sia invero dettata da esigenze della difesa ma integri piuttosto l’ipotesi della condotta dilatoria volta ad ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli, ai sensi dell’art. 12, sesto comma) interferendo in maniera marcata sull’attività difensiva.

 

 

In altre parole con il Regolamento si è arrivati ad attribuire a condotte legittime, processualmente e strategicamente rilevanti per la difesa un significato diverso da quello che avrebbero.

 

 

Si è arrivati ad attribuire alla strategia difensiva un connotato negativo e per questo sanzionabile attraverso la riduzione dell’emolumento all’avvocato.

 

 

Tuttavia questo connotato negativo non è oggettivo consentendo o meno al giudice di adottare il provvedimento di carattere sanzionatorio (dal duplice profilo morale e patrimoniale). Così che l’avvocato, unico responsabile per i danni che potrebbero derivare al suo cliente, al fine di evitare la riduzione dell’importo del proprio compenso dovrebbe spiegare al giudice oppure al cliente la ragione per la quale si è avvalso o meno di una previsione di legge.

 

 

Il giudice è oggi organo di disciplina dell’avvocato, organo che può adottare una sanzione che è sia pecuniaria, comportando una diminuzione della misura del compenso professionale, quanto lesiva dell’immagine, dell’onorabilità e del decoro del difensore.

 

 

In effetti, il potere che l’organo giurisdizionale sulla disciplina verrà ulteriormente potenziato dalla previsione contenuta all’art. 8 del D.P.R. 137/2012 che istituisce presso i consigli dell’ordine i consigli di disciplina territoriali ai quali affida compiti di istruzione e decisione delle questioni riguardanti gli iscritti sancendo altresì che i componenti il consiglio territoriale verranno nominati dal presidente del Tribunale nel cui circondario hanno sede.

 

 

Così che sarebbero i giudici, già investiti di un così grande potere, quelli a dover assumere se del caso una decisione circa la legittimità ovvero la conformità al dettato costituzionale di queste stesse norme.

 

Irene Badaracco

L’Avv. Irene Badaracco, laureata in giurisprudenza nel 2005 presso l’Università “La Sapienza” di Roma con una tesi su una materia all’epoca ancora in formazione su “Il mobbing, con particolare riguardo alle molestie sessuali sul posto di lavoro: aspetti giuridici e medico-legali”, può vantare una considerevole esperienza nei settori del diritto civile e del diritto amministrativo.
L’esperienza maturata nel corso di uno stage di un anno presso una primaria azienda italiana con sede in Roma – che le ha consentito di valutare dall’interno le problematiche della gestione del personale dipendente – le è valsa per partecipare in veste di Relatore in diversi convegni in materia soprattutto di mobbing e a ricevere l’incarico di insegnamento di “Fondamenti di Diritto del Lavoro”, da parte della “Libera Università Maria Santissima Assunta” – LUMSSA di Roma, nell’ambito del Master di II Livello in “Gestione delle Risorse Umane”.
L’Avv. Irene Badaracco si occupa prevalentemente di questioni di diritto civile, anche connesse al tema del risarcimento del danno da responsabilità professionale e diffamazioni a mezzo stampa.