Lo svantaggio concorrenziale degli avvocati

Il presidente per l’autorità garante per la concorrenza e il mercato ha espresso seria preoccupazione che il dibattito in corso sulla riforma dell’avvocatura possa intralciare il processo di liberalizzazione delle attività professionali in Italia, consentendo la prevalenza di interessi definiti “corporativi” sugli interessi generali della società.

 

Non è la prima volta che un qualificato rappresentante delle istituzioni dell’ordinamento democratico esprime perplessità o contrarietà all’esercizio delle libertà costituzionali, tra le quali certamente rientrano le critiche in sede extraordinamentale e le opposizioni in sede parlamentare e giudiziaria.

 

Si può ritenere che il presidente, in veste di cittadino, abbia formulato un parere personale sulla delicata vicenda legislativa in itinere, venendo meno, tuttavia, alla regola della prudenza, visto che l’autorità presiede al controllo del mercato di riferimento nel quale insistono, con grandi capacità di pubbliche relazioni, società di consulenza composte da economisti e ingegneri che prestano attività di consulenza legale.

 

Senza pretesa di completezza, Mckinsey, Bain Company, Boston Consulting, Kpmg Advisory, Deloitte Consulting svolgono attività concorrente alla professione legale avvalendosi di mezzi e soprattutto di relazioni privilegiate che producono ricavi miliardari in Italia.

 

I bilanci non consentono di distinguere tra prestazione tipicamente legale e prestazione organizzativa e, quindi, anche l’imputazione dei ricavi e dei margini all’una e all’altra attività è sottratta al vaglio della concorrenza interessata: gli studi legali.

 

In questo contesto di mercato, caratterizzato dalle disponibilità di società pubbliche e di istituzioni e dal credit crunch di piccole e medie imprese, lo svantaggio concorrenziale degli avvocati rispetto alle società indicate, patrimonializzate e molto ben considerate dalla committenza pubblica, forse più a torto che a ragione, vista la sofferenza di tante gestioni pubbliche, è crescente e non appare adeguatamente tutelata sia dall’autorità garante della concorrenza e del mercato, che dalle altre istituzioni interessate dal corretto funzionamento dell’economia di mercato.

 

La pretesa che “il mercato” dei servizi legali si riduca alle tariffe, particolarmente malviste da banche e assicurazioni, è quindi pretestuosa e irriguardosa delle competenze di tanti avvocati meritevoli, quanto ignorati da una committenza strabica, a dir poco.

 

Il corretto funzionamento del mercato richiede trasparenza ed effettiva competitività e non sembra che finora l’autorità, seriamente preoccupata per il dibattito in corso sulla  riforma, abbia attivato i poteri di accertamento richiesti dalle circostanze di svantaggio concorrenziale del ceto forense, perseguitato da decenni di maldicenze e maltrattamenti pubblici e privati privi di tutela.

 

La crisi di rappresentanza del ceto si è espressa anche nel mancato rilievo delle disfunzioni concorrenziali, a cui potrà rimediare, a questo punto, soltanto un comitato di raccordo nazionale che svolga le funzioni di tutela previste dalla legge, proponendo all’autorità la materia in questione. Ecco perché è bene che il presidente dell’autorità, a garanzia della terzietà del processo decisionale del suo ufficio, trattenga fino ad allora le sue opinioni personali.

Ugo Scuro

Avvocato cassazionista in Roma, esperto in materia di diritto dell'economia con particolare riguardo ai contratti a formazione progressiva e alle responsabilità connesse, direttore del NuovoMille giornale liberale on line.