Il medagliere di Ripdico può fregiarsi di un altro pregevole convegno in tema di crisi dell’ impresa e di concorso dei creditori.
Perfettamente organizzato e condotto, il convegno si è svolto nell’arco dell’intera giornata ed ha trattato temi di attualità e di criticità del sistema.
Con l’avvertenza che le annotazioni brevi espresse nell’articolo non esauriscono la materia del convegno e non implicano, per le tante carenze o le possibili inesattezze, la responsabilità dei relatori e dell’organizzazione, ma esclusivamente del redattore, il pur parziale resoconto si propone di sollecitare il dibattito sulla crisi di impresa, sia sul sito ospitale dell’Afec, sia nei luoghi deputati, materiali e immateriali, della cultura forense.
In seguito ai saluti di rito e al commovente ricordo del presidente Fausto Severini, il concordato preventivo ha impegnato i relatori della mattina, essendosi riservato il presidente Umberto Apice, con l’apprezzabile umiltà che gli è connaturata, il ruolo della conduzione e, come di consueto, della trattazione delle note a sentenza affidate ai giovani studiosi di Ripdico.
Giorgio Costantino, ordinario di diritto processuale civile, ha introdotto il tema della fattibilità del concordato con ampi richiami alla sentenza n. 1521/13 della Corte di Cassazione, destinata a costituire, in prospettiva, quando le utilità e le disutilità giuridiche ed economiche del nuovo procedimento saranno state vagliate e approvate, o precluse, da dottrina, prassi e giurisprudenza, la pietra miliare dei requisiti di accesso alla procedura.
I “dati”, sui quali il relatore si è intrattenuto, funzionali alla previsione prognostica dell’attività di impresa, pur sottratti al precedente giudizio di una controversa e volatile meritevolezza dell’imprenditore, non sono tanto i risultati di bilancio – questo è anche il parere di chi scrive – quanto, piuttosto, le cause del dissesto, le responsabilità, suscettibili di valutazione ad iniziativa d’ufficio e delle parti comunque interessate, e le concrete prospettive della gestione.
Massimo Ferro e Gino Abete, giovani magistrati di cassazione, entrambi molto eloquenti, hanno trattato con maestria i diversi profili a loro assegnati del concordato.
La qualità degli interventi, densi di informazioni e di rilievi di ampio respiro dottrinale, non consente, in questa sede, una sintesi effettiva, premiante della struttura argomentativa dei temi trattati, né dell’uno, né dell’altro.
Tuttavia, il rilievo, in particolare, di Ferro sull’abuso del diritto e di Abete sulla natura contrattuale del concordato, meritano menzione specifica per le rilevanti implicazioni giuridiche e giudiziarie, che, infatti, non sono sfuggite ai relatori nella trattazione dei rispettivi temi.
L’abuso del diritto è stato presentato come principio generale che investe l’intero pianeta del diritto civile, con applicazione specifica, finora, nel diritto tributario.
La natura contrattuale del concordato, soggetta alla condizione della ammissibilità in considerazione dei “dati” storici, la cui trasparente legittimità costituisce presupposizione della procedura agevolata, comporta la valutazione di validità delle prestazioni intrinseche alla procedura e richiede soddisfazione delle parti all’esito dell’espletamento procedurale.
La causa astratta del concordato è, infatti, la soddisfazione dei creditori, come è stato precisato dai relatori, nel rispetto dei diritti delle parti, che, ad esempio, per la mancata, tempestiva, costituzione del titolo, dovuta al ritardo della giustizia e non a loro inerzia nell’esercizio del diritto, siano rimasti estranei, e inascoltati, per indifferenza degli altri protagonisti – si permette di aggiungere lo scrivente.
La materia è stata affrontata nella citata sentenza di cassazione, che ha rivendicato al giudice la funzione di scrutinio della legittimità della pretesa concordataria, evidentemente sulla base della gestione ordinaria e straordinaria dell’attività di impresa.
Diversamente e paradossalmente, quanto impropriamente, al giudice del concordato sarebbe attribuita dalla legge la funzione assolutoria pregiudiziale di possibili illeciti rilevanti sotto i vari profili: civile, tributario, previdenziale, penale.
Se la dichiarazione di fallimento costituisce, infatti, condizione di punibilità degli illeciti penali compiuti dall’imprenditore, è altrettanto vero che, dinanzi a vicende di gestione potenzialmente perseguibili a tale titolo, in base alla valutazione consentita dal vaglio di ammissibilità ed effettivamente perseguite in fattispecie analoghe che costituiscono giurisprudenza consolidata e univoca, il ricorso alla procedura, contestato in sede preconcorsuale e concorsuale dall’interno o dall’esterno della procedura, non possa proporsi come il riparo offerto dalla legge a imprenditori avventurosi, magari in collusione con creditori veri, presunti o pretesi tali, in danno di terzi aventi diritto, inibiti dal ritardo della giustizia.
E’ materia destinata a risolversi nell’immediatezza, prima di tutto a tutela del sistema giuridico e giudiziario, sul piano della coincidenza della causa astratta (soddisfazione dei creditori) con la causa concreta (soddisfazione dei creditori a seguito di vaglio delle questioni di responsabilità connesse alla crisi di impresa o al dissesto, all’esito della esclusione dei creditori corresponsabili a vario titolo).
La causa, elemento essenziale del contratto a formazione progressiva, alla cui tipologia si iscrive a buon diritto il concordato preventivo, tornerà a echeggiare nelle aule di giustizia dopo circa cinquanta anni di oblio, grazie ad una ripresa di attenzione della corte di legittimità, di alcuni illuminati studiosi e dei relatori di Ripdico.
Fattispecie contrattuali prive di causa concreta, quali il project financing, il leveraged buy out e il franchising immobiliare, hanno inquinato negli ultimi decenni l’economia nazionale, con effetti devastanti a carico degli enti territoriali, nel caso di tante dissestate iniziative di partenariato pubbliche-private, degli azionisti di minoranza, nel caso di acquisizioni a debito ingiustificate sotto il duplice profilo giuridico-economico, dei consumatori e dei concorrenti del settore immobiliare, sperequati dalla inconsapevolezza degli aventi diritto e dalla inerzia delle autorità deputate alla tutela del mercato.
La riconduzione del sistema a logica di diritto dell’economia comporterà virtuosi effetti concorrenziali anche a favore degli avvocati che vorranno approfondire gli studi in materia, sollecitando le valutazioni concrete delle corti di merito.
In tema di abuso del diritto, non sono consentite timidezze intellettuali perché il principio enunciato con specifico riguardo alla materia tributaria si presta a valutazioni esorbitanti l’applicazione della legge.
Una recente ordinanza della corte di legittimità ha affermato che l’abuso del diritto è una sorta di principio generale, all’interno del quale si colloca, come specie, il concetto di elusione.
Il presupposto dell’enunciato è che sussista un divieto di abuso non scritto applicabile con carattere di generalità ad ogni settore dell’ordinamento.
L’abuso si concretizzerebbe mediante il ricorso tendenzioso alla norma giuridica per il conseguimento di un vantaggio non meritevole di tutela.
Un magistrato esperto a margine del convegno ha commentato che il principio è pericoloso.
L’affermazione è pienamente condivisibile, perché l’ordinamento consente, in base ai principi consolidati, declinati nelle norme e interpretati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, secondo la catena del diritto, la piena realizzazione dei diritti.
Prova ne siano i precedenti richiami al vaglio delle responsabilità nell’ambito della procedura concordataria, a seguito della più volte citata sentenza della corte di legittimità, e alla causa nell’ambito dei contratti complessi, di cui il concordato costituisce fattispecie concreta, così come le fattispecie di origine anglosassone parimenti richiamate.
La preparazione e lo scrupolo degli avvocati e l’attenzione dei giudici di merito non richiedono principi innovativi suscettibili di eccessi interpretativi.
Basti dire, con riferimento all’applicazione del principio in materia tributaria, nel cui ambito il ricorso alla normativa meno onerosa costituisce presupposto dell’intenzione elusiva, che l’inflazione legislativa potrebbe configurare percorsi ridondanti inutilmente onerosi, il cui rifiuto da parte del contribuente potrebbe tradursi in una incriminazione con effetti sanzionatori, decisa su base puramente interpretativa del principio di abuso del diritto, non scritto, in elusione del principio di legalità, scritto e consolidato.
Le numerose sollecitazioni offerte dal convegno sono meritevoli di tradursi in altrettante occasioni di dibattito, affidate alla solerzia e all’impegno intellettuale di avvocati e magistrati, nel perseguimento della realizzazione dell’ordinamento, in conformità alle sfide della modernità e della globalizzazione.
I cittadini devono però essere avvertiti che l’ordinamento assiste le persone attente, partecipi, in conformità al noto brocardo latino “vigilantibus jura succurrunt”.