Da oggi in poi non conterà più il criterio del tenore di vita goduto nel corso del matrimonio per determinare l’assegno divorzile a favore dell’ex coniuge che lo richiede. A contare sarà invece il criterio dell’indipendenza o autosufficienza economica e non più il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e la sperequazione tra i redditi dei due coniugi.
La vicenda trae origine dal ricorso presentato dall’ex moglie di un ex ministro dell’Economia nel Governo Monti avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano, confermando la sentenza dei giudici di primo grado, le aveva negato il diritto all’assegno divorzile in considerazione dell’accertata autonomia economica della signora. La Suprema Corte, investita della questione, confermando il rigetto della richiesta di assegno divorzile avanzata dalla moglie, ha superato il suo precedente e consolidato orientamento, ritenendo che “…il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale“. Ad avviso della Suprema Corte, pertanto, “l’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile – come detto – non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento della indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione – esclusivamente – assistenziale dell’assegno divorzile”.
Tale interpretazione, ad avviso della Corte, sarebbe l’unica coerente con un altro orientamento invalso recentemente nella giurisprudenza di legittimità con riferimento alla formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge beneficiario dell’assegno divorzile. Secondo detto orientamento il coniuge che crea una nuova famiglia perde il diritto all’assegno divorzile a seguito di una sua “…scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale da parte dell’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo dell’obbligo”. A ciò consegue l’illegittimità di gravare l’ex coniuge di detto assegno all’infuori dei casi in cui il proprio ex non sia in grado di mantenersi da solo. La Suprema Corte, pertanto, partendo da tali premesse arriva a sostenere che la precedente interpretazione invalsa nella giurisprudenza violerebbe il diritto fondamentale del coniuge obbligato all’assegno divorzile di fondarsi una nuova famiglia, consacrato nell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e all’art. 8 CEDU (probabilmente per errore, la Corte fa impropriamente riferimento all’art. 12 che invece tutela il solo diritto a contrarre matrimonio), gravandolo di ingiustificati oneri economici che non trovano più giustificazione a seguito dell’estinzione, anche sul piano dei rapporti economico-patrimoniali, del rapporto matrimoniale.
Quali sono dunque ora i principi di diritto per la determinazione dell’assegno divorzile? In primo luogo deve essere verificato, nella fase dell’accertamento («informata al principio dell’ “autoresponsabilità economica” di ciascuno degli ex coniugi quali “persone singole”»), se sia dovuto o meno l’assegno di divorzio chiesto dall’ex coniuge, ovvero se la domanda di quest’ultimo «soddisfa le condizioni di legge» (mancanza di “mezzi adeguati” o comunque “impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”), con esclusivo riferimento «all’indipendenza o autosufficienza economica dello stesso».
Dunque, secondo i giudici transtiberini, il diritto all’assegno divorzile e la sua quantificazione va ora individuato attraverso un “parametro diverso”: “il raggiungimento dell’indipendenza economica” di chi ha richiesto l’assegno divorzile. Specularmente, chiarisce la Suprema Corte, “…se è accertato che (il richiedente) è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto tale diritto“, a nulla rilevando la circostanza che, in costanza di matrimonio, i superiori redditi dell’ex coniuge avevano permesso un tenore di vita più elevato.
Da ultimo, i giudici transtiberini chiariscono quali sono «i principali “indici”» da cui desumere l’autosufficienza economica (o meno) del coniuge richiedente, e cioè: il “possesso” di redditi e di patrimonio mobiliare e immobiliare, le “capacità e possibilità effettive” di lavoro personale e “la stabile disponibilità” di un’abitazione.
Di seguito il testo della sentenza: Cass. civ., sez. I^, sentenza del 10 maggio 2017 n°11504