Il professionista che agisce per il pagamento del proprio compenso, conseguente allo svolgimento di una prestazione d’opera, nel caso in cui vi sia contestazione in ordine all’avvenuto conferimento dell’incarico, deve provare la relativa pattuizione, la quale può sì rivestire qualsiasi forma, sempreché risulti idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà del committente di avvalersi dell’attività e dell’opera del professionista.
E’ quanto emerge dalla sentenza 701/2018 pubblicata dalla Sezione XI del Tribunale Civile di Roma[1] che ha respinto, siccome infondata, la domanda del praticante avvocato che aveva chiesto (con ricorso ex art. 702 bis c.p.c.) il pagamento dei compensi maturati in relazione alla attività professionale prestata in favore della convenuta che si era costituita in giudizio contestando decisamente l’espletamento delle attività giudiziali di cui l’attore richiedeva il pagamento, ed adducendo di aver incaricato il praticante avvocato soltanto di assisterla stragiudizialmente in seguito ad un incidente stradale alla stessa occorso.
Non è emerso alcun elemento probatorio, spiega il giudice, vòlto a dimostrare un accordo intervenuto tra le parti del giudizio, «nemmeno verbale», in ordine alle richieste delle ulteriori voci indicate nel prospetto di parcella, oltre a quelle corrisposte per l’espletamento della attività stragiudiziale sul quale il convenuto concordava («All’esito delle emergenze istruttorie, dalla documentazione in atti versata nonché dalle prove testimoniali, non è emerso alcun elemento a sostegno della tesi prospettata da F in ordine all’espletamento dell’attività di cui oggi chiede il compenso»).
In sintesi, il professionista che agisce in giudizio, in caso di contestazione, per ottenere il soddisfacimento del credito professionale ha l’onere di dimostrare tanto l’avvenuto conferimento dell’incarico quanto l’effettivo espletamento della prestazione.
[1] 11.01.2018