Questione di Dignita’

Non mi piace urlare allo scandalo: non lo farò neppure ora che lo scandalo c’è ed è evidente.
 
La gestione dello scandalo da parte del protagonista, Mauro Vaglio, merita, però, una riflessione ed un’analisi.
 
Mauro Vaglio ha avuto il merito di avere intuito per primo che esiste – nel composito universo di 23.000 iscritti all’Ordine di Roma (quand’ero praticante nel 1978 erano intorno a cinquemila: non ricordo se poco più o poco meno) – un’Avvocatura differente da quella che solitamente esprimeva la classe dirigente. Basta scorrere i nomi dei Presidenti del Consiglio dell’Ordine per rendersi conto che questi appartenevano ad un certo tipo di Avvocatura e che l’elettore premiava più il merito professionale, che l’essere prestati a tempo pieno alla “politica forense”.
 
Mauro Vaglio si è rivolto a questa Avvocatura – fino a ieri indifferente alle vicende del Consiglio – l’ha organizzata e ne ha raccolto il voto.
 
Non ha dato, però, ad essa voce.
 
In questo primo semestre del 2012 (un quarto del tempo del suo governo) l’attività sembra essere stata volta unicamente alla gestione del potere. Col sospetto – da me espresso già alcuni mesi addietro in un mio articolo – che l’evidente contrazione dell’offerta di formazione gratuita (fiore all’occhiello fino al 2011 del Consiglio dell’Ordine di Roma) potesse avere anche un preciso significato: Honni soit qui mal y pense, ma non vorrei che lo smantellamento delle Commissioni possa aprire la strada a pericolose avventure commerciali. Spero, mi auguro di cuore, che tale mio timore possa essere smentito dai fatti futuri” (l’articolo si può leggere sul sito www.studiomarvasi.it).
 
Purtroppo, invece, i fatti futuri non smentiscono.
 
Dopo di allora alcune avvisaglie: comunque gravi, quali la sconcertante vicenda dei “biglietti da visita”, non certo passata sotto silenzio ma alla quale non è stata dato il peso che meritava. Al di là del costo esorbitante di detti biglietti, ha indignato l’indicazione del domicilio professionale del Consigliere dell’Ordine e dei suoi recapiti di studio. Tardiva la retromarcia del presidente – a seguito della vivace contestazione dei due consiglieri di minoranza – di farsi riconsegnare detti biglietti dai consiglieri che li avevano accettati: ripensamento che, forse, dà più fastidio della gaffe fatta.
 
La vicenda del “comunicatore” sembra ora confermare definitivamente i timori della prevalenza di una vocazione non proprio istituzionale.
 
La vicenda in sé è gravissima perché involge valori etici e perché spiega riflessi negativi su tutta l’Avvocatura: l’ultima cosa di cui, oggi, l’Avvocatura ha bisogno.
 
Diventa ancora più grave – fino all’irreparabile – nello scomposta reazione che ha avuto Mauro Vaglio.
 
Il fatto è pacifico: l’incarico è stato dato, senza alcun confronto di offerte, ad un soggetto che è socio in affari del presidente e che è stato l’artefice della sua brillante e capillare campagna elettorale. Si tratta di un incarico che prima non esisteva e del quale, francamente, non se ne vedeva l’esigenza: l’Ordine deve compiere poche comunicazioni istituzionali ai suoi iscritti e deve essere una casa trasparente, nella quale tutti possono accedere liberamente, senza trovare ostacoli o spazi chiusi.
 
La circostanza della “società” tra il presidente ed il “comunicatore” è stata tenuta celata e questo ha indignato (prima ancora di concretizzarsi in un comportamento illegittimo).
 
Le rozze giustificazioni date a posteriori, con incomprensibili richiami alle differenze tra persona giuridica e persona fisica, o col riferimento a norme citate a sproposito o, peggio, il richiamo alle passività di quella loro “società”, stanno rendendo la vicenda ancora peggiore di quel che era all’origine.
 
Nessuna norma al mondo – anche se potesse consentire ad un ente pubblico di attribuire incarichi ad un soggetto che abbia interessi in comuni con chi di quell’ente ha la rappresentanza – può superare le ragioni dell’opportunità. Se l’ente, comunque, si venisse a trovare in una di quelle situazioni il suo rappresentante deve rendere palese, prima di qualsiasi discussione, il suo interesse personale nella vicenda e deve astenersi da qualsiasi decisione. Ciò non è stato e ciò è stato ignorato e violato.
 
Il goffo e maldestro tentativo di dare, a posteriori, una impossibile compatibilità giuridica all’accaduto, ci sta gettando tutti in una situazione deteriore, coprendoci tutti gli Avvocati di ridicolo: gente pronta a negare anche l’evidenza.
 
Il ridicolo non lo meritiamo. Non lo dobbiamo e non lo possiamo consentire e deve cessare immediatamente.
 
Non mi ritengo un politico forense. Sono stato un candidato occasionale al Consiglio dell’Ordine e con uno spirito antico. Sono candidato come delegato al Congresso di Bari, soltanto perché vorrei avere lì il diritto di parola ed esprimere la mia indignazione per norme che mi offendono quale avvocato ed affermare la prevalenza assoluta del nostro ruolo: che deve dare preminenza al diritto, anche contro leggi illegittime.
 
Quella del “comunicatore” non è questione di politica forense.
 
È questione di dignità.
 
Chi ricopre la prestigiosa carica che fu di Vittorio Emanuele Orlando deve esserne sempre degno, in tutte le azioni ed in tutte le dichiarazioni.
 
Oggi non è stato così: e si dovrebbero trarne le conseguenze.
 
Primo tra tutte le dovrebbe trarre chi di questa vicenda è autore e protagonista e fare un gesto: prima che l’istituzione che ha il potere di farlo lo imponga, con disdoro per tutto l’incolpevole Foro romano

 (Tommaso Marvasi)