L’Assemblea della Camera dei Deputati il 25 ottobre 2012 ha approvato gli articoli da 1 a45 e da 51 a67 della proposta di legge n. 3900 (testo unificato dal Senato della Repubblica il 23 novembre 2010) recante la “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”. Il testo con gli emendamenti approvati torna ora al Senato per proseguire l’iter costituzionale della doppia approvazione da parte di entrambi i rami del parlamento.
La proposta ha oramai raggiunto un grado di maturazione che ci consente di svolgere alcune considerazioni de iure condendo su un argomento di grande interesse per l’avvocatura: la disciplina per la determinazione dei parametri per il calcolo del compenso professionale.
Le novità introdotte sono numerose sebbene pare che a meritare attenzione in questa fase non siano le particolari disposizioni normative ma il contenuto complessivo della disciplina tendente a ristabilire degli equilibri che erano stati compromessi per effetto delle riforme introdotte su iniziativa legislativa del Governo, in attuazione dei principi in tema di liberalizzazione delle professioni e, in particolare, con il D.M. n. 140/2012 “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate, ai sensi dell’art. 9, decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2012, n. 27” (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 195 del 22 agosto 2012), d’ora in avanti solo “Regolamento”.
In sintesi, l’intervento regolatorio, attuando quanto previsto all’articolo 9, D.L. n. 1/2012, abroga le tariffe professionali vigenti e con esse l’intera disciplina previgente in tema di adeguamento degli importi per onorari, diritti, spese e indennità all’avvocato, riconoscendo al solo ministro vigilante il potere di determinare i parametri per la liquidazione del compenso all’avvocato da parte dell’organo giurisdizionale.
Infatti, l’art. 9, D.L. 1/2012, ai commi da 1 a3, espressamente statuisce: «sono abrogate le tariffe professionali regolamentate nel sistema ordinistico.
Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Entro lo stesso termine, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe. Il decreto deve salvaguardare l’equilibrio finanziario, anche di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali.
Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. …».
In altre parole, rispetto al “sistema ordinistico” previgente che riconosceva al CNF ogni due anni il potere di dare impulso alla procedura di adeguamento degli importi tariffari per ciascuna voce di onorari, diritti e indennità, per effetto del D.M. n. 140/2012 i parametri per la liquidazione giudiziale del compenso all’avvocato, in caso di mancato accordo con il cliente, vengono adottati unicamente con decreto del Ministero della Giustizia e per iniziativa di questo senza parere, magari anche non vincolante, del CNF.
Con la proposta di legge in esame si interviene nuovamente per disciplinare la procedura della regolamentazione dei parametri per il calcolo del compenso all’avvocato statuendo all’art. 1: «all’attuazione della presente legge si provvede mediante regolamenti adottati con decreto del Ministro della giustizia, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro due anni dalla data della sua entrata in vigore, previo parere del Consiglio nazionale forense (CNF) e, per le sole materie di interesse di questa, della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. Il CNF esprime i suddetti pareri entro novanta giorni dalla richiesta, sentiti i consigli dell’ordine territoriali e le associazioni forensi che siano costituite dal ameno cinque anni e che siano state individuate come maggiormente rappresentative dal CNF. Gli schemi dei regolamenti sono trasmessi alle Camere … perché su di essi sia espresso, nel termine di sessanta giorni dalla richiesta, il parere delle Commissioni parlamentari competenti».
La proposta di legge n. 3900 attraverso quella che diventerebbe la nuova regolamentazione della procedura di adozione dei decreti del Ministro della Giustizia per l’attuazione della disciplina professionale forense sembra aver fatto un importante passo avanti; guardando al passato però.
Attraverso le previsioni indicate, torna in primo piano la dialettica tra Ministero della giustizia e CNF.
Il CNF inoltre, come avveniva in passato nel sistema tariffario, tornerebbe a ricoprire un ruolo preminente ed essenziale ai fini della legittimità del decreto ministeriale di cui all’art. 1, terzo comma, cit., nonché quale organismo rappresentativo degli avvocati, ex lege.
Nuovamente verrebbe riconosciuto esclusivamente al CNF il potere di verificare i presupposti per l’attribuzione della qualifica della maggiore rappresentatività in favore delle associazioni professionali, istituite da oltre cinque anni, affinché queste insieme ai Consigli degli ordini territoriali possano intervenire a pieno titolo nella procedura di formazione del parere sulla determinazione dei parametri da trasmettere al Ministro della giustizia, ex art. 1 cit..
Tra l’altro, sulla scorta di questa importante riforma del sistema professionale, ritroviamo al comma sesto dell’art. 13, rubricato “conferimento dell’incarico” la previsione per cui: «i parametri indicati nel decreto emanato dal ministro della giustizia, su proposta del Consiglio nazionale forense ogni due anni, ai sensi dell’art. 1, comma 3, si applicano quando all’atto dell’incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse dei terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge.
I parametri sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali e l’unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi».
La nuova normativa è destinata a suscitare molto scalpore consentendo di fatto al CNF di riproporre ai fini dell’emanazione del decreto di attuazione della disciplina professionale forense parametri chiari (ossia: valori predeterminati e stabiliti per ogni singola attività dell’avvocato per diritti, onorari e indennità) al fine di favorire la trasparenza nella determinazione dell’emolumento all’avvocato e soprattutto l’unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi.
E’ evidente che si tornerà se non sic et simpliciter al vecchio modello tariffario a qualcosa che si avvicinerà molto essendo la tariffa l’unico parametro oggettivo, chiaro e trasparente idoneo nel contempo a garantire “l’unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi”.
Ma il nuovo parametro che secondo il contenuto della proposta n.3900 in esame dovrebbe essere adottato in concerto con il CNF dal Ministero della giustizia verrebbe ad essere utilizzato anche per dirimere controversie insorte tra avvocato e cliente in caso di liquidazione giudiziale dei compensi.
Ma le “novità” (se così vogliamo chiamarle dal momento che quanto contenuto nella proposta di riforma della professione forense non è altro che il contenuto del regime tariffario previgente) non sono solo queste, infatti, sempre all’articolo 13, nono comma, ritroviamo la previsione secondo la quale «in mancanza di accordo tra avvocato e cliente, ciascuno di essi può rivolgersi al consiglio dell’ordine affinché esperisca un tentativo di conciliazione.
In mancanza di accordo il consiglio, su richiesta dell’iscritto può rilasciare un parere sulla congruità della pretesa dell’avvocato in relazione all’opera prestata».
La soluzione adottata dai due rami del parlamento sembra per il momento essere in linea con le istanze “urlate” a gran voce dagli avvocati all’indomani dell’entrata in vigore del D.M. 140/2012.
I contenuti della disciplina ci fanno sperare che ci siano ancora margini di dialogo e confronto civile e costruttivo con le istituzioni facendoci inoltre intendere che il prossimo Congresso del Consiglio nazionale forense di Bari possa realmente rappresentare un momento di incontro e di sintesi importante per l’accoglimento delle istanze dell’avvocatura.