Una premessa è d’obbligo: sono un sostenitore dell’utilità del processo civile telematico.
Quanto sopra non mi esime, tuttavia, dal rilevare alcune problematiche che derivano dalla sua applicazione e che mi auguro possano essere risolte a breve.
Non si può, infatti, non sottolineare che l’introduzione del PCT ha previsto una modalità esclusiva di deposito di alcuni atti (a breve l’estensione del PCT anche agli atti introduttivi del giudizio) che si attua tramite deposito telematico.
Ciò significa che per quegli atti per i quali è previsto il deposito telematico non è più ammissibile un deposito in formato cartaceo presso la cancelleria.
L’autorizzazione al deposito in formato cartaceo potrà, quindi, avvenire esclusivamente previa autorizzazione del presidente del tribunale.
In tal senso il disposto dall’art. 16 bis, 4° comma, del d.l. n. 179/2012 convertito nella legge n. 221/2012 ha previsto una clausola di salvaguardia laddove viene stabilito che il presidente del tribunale può autorizzare il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste un’indifferibile urgenza.
E se il deposito non può essere eseguito in via telematica per motivi attinenti al computer del difensore ovvero alla rete internet del provider dei servizi dati scelto dal professionista che succede?
L’ipotesi è tutt’altro che remota, basti pensare a virus che hanno infettato il computer, disservizi del gestore dei servizi internet (nel caso sempre più frequente di trasferimento da un gestore all’altro), problemi di aggiornamento del software Java, cancellazione di un file della “chiavetta USB” che contiene i certificati etc. etc.
Il rischio è certamente quello, se il deposito viene fatto l’ultimo giorno e in alcuni casi l’avvocato lo fa per scelta difensiva ovvero per evitare che la controparte possa replicare con il medesimo atto per il quale ancora non è scaduto il termine di deposito, di non riuscire a depositare l’atto e di decadere dal termine.
La soluzione sembrerebbe poter essere fornita in base all’art. 16 bis, 4° comma, del d.l. n. 179/2012 convertito nella legge n. 221/2012, laddove il presidente del tribunale potrebbe autorizzare il deposito cartaceo alla luce di un’indifferibile urgenza ma appare chiaro che l’emissione di un provvedimento ad horas appare utopistica.
Vero è che l’art. 153 c.p.c. dispone che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini” ma altrettanto vero è che il richiamo da parte dell’art. 153 c.p.c. dell’art. 294 c.p.c. subordina la rimessione in termini della parte alla verosimiglianza dei fatti allegati ed, occorrendo, anche alla prova dell’impedimento.
Anche a voler prescindere da un approfondimento sul concetto di “autoresponsabilità” su fondamento colposo[1], è palese che l’attività conseguente al mancato deposito dovuto da un disfunzione del computer, della “chiavetta Usb” o della rete internet, costituisce per l’avvocato un onere eccessivo nonché un rischio anche sotto il profilo della responsabilità professionale.
L’unica soluzione possibile sarebbe dunque quella di prevedere una modalità alternativa di deposito degli atti limitata al giorno in cui l’atto scade.
In altre parole sarebbe auspicabile la previsione della possibilità di un deposito cartaceo degli atti con scadenza c.d. “ultimo giorno” ovvero la possibilità di effettuare il deposito telematico “ultimo giorno” presso uno sportello dello stesso tribunale.
De jure condendo.
Leonardo Vecchione
Avvocato in Roma
[1] Sul punto cfr. R. Caponi , La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996.