La Suprema Corte, con sentenza del 20 ottobre 2016, n°21256, si pronuncia nuovamente sulla liquidazione dei compensi dell’avvocato, cassando la sentenza con cui la Corte d’Appello di Catanzaro, riformando la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia, aveva riconosciuto all’appellante, vittima di incidente stradale, un cospicuo risarcimento dei danni, anche da perdita di chances, liquidando tuttavia le spese processuali del primo grado di giudizio secondo i parametri di cui al D.M. n°141/2012, ancorché quest’ultimo fosse entrato in vigore successivamente alla conclusione del primo grado di giudizio.
In particolare, ad avviso del ricorrente, il giudice dell’impugnazione avrebbe commesso un duplice errore: da un lato l’applicabilità del D.M. n. 140 del 2012, entrato in vigore medio tempore prima della pronuncia di secondo grado; dall’altro l’individuazione del valore della causa ai fini della determinazione del valore della controversia non già in quello indicato dall’appellante nel petitum, bensì nella somma effettivamente accertata dalla corte.
La Corte, limitatamente alla prima censura, dà ragione al ricorrente, richiamando un proprio recente insegnamento sul punto: “…i nuovi parametri, in base ai quali vanno commisurati i compensi forensi in luogo delle abrogate tariffe professionali, si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto purché, a tale data, la prestazione professionale non sia ancora completata, sicché non operano con riguardo all’attività svolta in un grado di giudizio conclusosi con sentenza prima dell’entrata in vigore, atteso che, in tal caso, la prestazione professionale deve ritenersi completata sia pure limitatamente a quella fase processuale” (così cass-civ-sez-vi-2-sentenza-dell’11-febbraio-2016-n2748; in senso conforme, cass-civ-sez-vi-3-sentenza-del-2-luglio-2015-n13628).
Ad avviso degli ermellini, pertanto, la liquidazione delle spese deve sempre avvenire, conformemente ai principi generali della successione della legge nel tempo, secondo le tariffe vigenti nel momento in cui l’attività professionale sia da ritenersi già completata, ovvero con la conclusione del singolo grado di giudizio. E ciò in quanto, come nel caso di specie, “…il giudizio di primo grado sfocia in una sentenza idonea a concludere ogni accertamento processuale passando in giudicato, essendo sotto il profilo del rito una mera eventualità l’impugnazione della pronuncia”.
Per quanto attiene invece alla determinazione del valore della controversia, la Corte ritiene corretta la determinazione della Corte d’Appello attraverso il ricorso al criterio del decisum; ciò in quanto “…in caso di accoglimento parziale della domanda, ai fini della determinazione del valore della controversia per liquidare le spese processuali deve il giudice avvalersi del criterio del decisum e non del criterio del disputatum” (sul punto, anche Cass-civ-sez-iii-sent-29-02-2016-n-3903), fatto salvo unicamente il caso “…in cui la condanna sia ridotta da una parziale corresponsione del petitum da parte del debitore nelle more del processo se comunque emerge la fondatezza della intera pretesa originariamente avanzata” (cass-civ-sez-unite-11-09-2007-n-19014).
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