Quando qualche anno fa il Consiglio dell’Ordine decise che era giunto il momento di dotarsi di un logo non ebbe dubbi nell’individuare, tra le varie proposte, l’effige di colui che rappresenta l’antenato piu’ antico e illustre degli appartenenti alla categoria forense: Marco Tullio Cicerone.
Da allora ogni pubblicazione e ogni iniziativa dell’Ordine è stata accompagnata dall’immagine del Maestro che, rassicurante, ricordava ad ogni singolo Avvocato la propria storia e ne radicava il senso di appartenenza.
Ebbene, da oggi gli Avvocati, rimirando il logo simbolo dell’Istituzione, non penseranno piu’ ai fasti dell’eloquenza dell’antica Roma: Cicerone non c’e piu’, e’ stato sostituito da un’immagine stilizzata che probabilmente, nella fervida fantasia del suo autore, dovrebbe ricordare i cordoni di una toga ma che invece e’ molto più’ simile ad un nodo marinaio.
L’iniziale reazione di raccapriccio, tuttavia, cede il passo a considerazioni di logica spicciola che sembrano chiarire le ragioni di siffatta scelta: Cicerone, espressione della grande Avvocatura del passato, nulla ha da spartire con l’attuale condizione della categoria ne’ con la compagine consiliare che oggi la governa. L’immagine di una corda annodata nella speranza di non perdersi definitivamente alla deriva appare effettivamente piu’ appropriata.
La buona notizia e’ che Il “pensionamento” di Cicerone e’ arrivato in tempo per evitare che l’immagine del nostro illustre antenato venisse associata ad una iniziativa, a dir poco discutibile, che vedrà l’esordio del nuovo logo.
Il Consiglio ha infatti deliberato l’acquisto di carta intestata e biglietti da visita per i quindici Consiglieri. Fin qui nulla di strano, se non fosse che sul materiale in questione verranno stampati, oltre al nome del Consigliere, alla carica e, appunto, al logo dell’Ordine, anche i recapiti dello studio professionale dell’intestatario. Il tutto per la modica somma di euro 6.596,00 come da preventivo presentato dall’unica ditta interpellata.
Il fatto , di per s’è, non desterebbe nulla più’ del sorriso che generalmente si riserva a una grossolana pacchianata. Ma , nello specifico, il recente passato in uno con il ruolo e la funzione dell’ Istituzione impongono delle riflessioni.
Appare infatti singolare che chi, fino a pochi mesi orsono, si opponeva ferocemente a qualunque spesa deliberata dalla maggioranza dell’epoca (comprese iniziative benefiche e modestissime spese per la manutenzione dei locali) ergendosi a garante e tutore del denaro dei colleghi, una volta conquistato il governo abbia velocemente abbandonato tale ruolo deliberando spese inutili senza neanche seguire la prassi – consolidatissima- di effettuare una gara tra almeno tre diversi preventivi.
Quanto all’indicazione dei recapiti professionali dei singoli Consiglieri su carta e biglietti istituzionali , c’è da augurarsi che l’iniziativa sia frutto di semplice ignoranza perché , se così non fosse, emergerebbero profili discutibili sotto il profilo deontologico.
Se infatti predisporre delle ” business cards” istituzionali appare legittimo, e’ però ovvio che i recapiti ivi riportati non possano che essere – esclusivamente- quelli dell’istituzione di riferimento. L’indicazione dei recapiti privati – evidentemente ultronea rispetto al mero utilizzo istituzionale – ne presuppone un uso in ambito professionale, come tale non consentito.
Chiunque conosca un minimo di dottrina e giurisprudenza in materia deontologica sa perfettamente che numerose decisioni disciplinari hanno sanzionato l’uso di carte intestate contenenti informazioni estranee all’esercizio dell’attività professionale in quanto sostanzialmente rivolte all’accaparramento della clientela. In altre parole il Consigliere che desse al cliente , al collega, alla controparte o al semplice conoscente il proprio biglietto da visita con il logo dell’Ordine e l’indicazione della propria carica, in uno con i propri recapiti, fornirebbe un’informazione volta ad ingenerare nei terzi la convinzione di avere una particolare capacità di influenza nell’ambiente professionale e giudiziario, ponendo con ciò in essere la condotta che gli articoli 17 e 17 bis del codice deontologico mirano a prevenire.
Ma se l’organo che sovrintende la disciplina degli iscritti si rende esso stesso promotore di condotte deontologicamente discutibili, come biasimare l’iniziativa governativa volta all’abolizione della cosiddetta giurisdizione domestica?
Infine, per dirla con le parole dell’illustre rimosso dal logo, Quousque tandem abutere patientia nostra?