La vicenda dell’innegabile conflitto di interessi in cui è caduto Vaglio sta assumendo contorni preoccupanti, non tanto per le conseguenze che la nomina di un suo socio in affari (veste, questa, colpevolmente sottaciuta) comporterà sulla credibilità dell’Istituzione forense romana, quanto per la degenerazione che sta producendo nel confronto “politico” tra le varie componenti dell’Avvocatura capitolina.
In una delle sue tante (e forse troppe) disperate difese, pubblicate sul suo sito, Mauro Vaglio giunge a dire, testualmente: “ho anche ricevuto un parere da un esperto di altissimo livello in materia di enti pubblici, che però ha chiesto di rimanere anonimo per evitare possibili ritorsioni”. Il testo del parere è allegato alla comunicazione: mi incuriosisco, lo apro, lo leggo, e con tutta la franchezza non mi sembra che il documento abbia né le fattezze di un “parere” (cioè il frutto di un serio ed approfondito sforzo ermeneutico sul piano giuridico) né mi appare – e lo dico da modesto Avvocato al servizio di una Pubblica amministrazione da tanti anni – scritto da un luminare “in materia di enti pubblici” (ammesso che detta materia esista per davvero). Ma il punto non è questo.
Giungo a sospettare che non sia scritto da nessun “esperto”, men che mai avvocato, perché quella sottolineatura, di voler continuare a rimanere “anonimo”, non si confà ad un rappresentante del Foro.
Ne parlavo stamane, al Palazzaccio, con un collega galantuomo, sensibile ed acuto. Mi ricordava che noi siamo la categoria di coloro che assumono – necessariamente, spettando solo a noi ed a nessun altro – la difesa processuale di delinquenti, malfattori, camorristi, mafiosi, terroristi. Questa difesa, che deve essere garantita a tutti (il che non vuol dire, ovviamente, tutela dell’impunità), può portare un pregiudizio a chi l’assume. Ed a volte lo arreca di sicuro. Ma un avvocato non può temere “ritorsioni”, qualsiasi esse siano: deve portare la propria toga con coraggio, con fierezza, con orgoglio. Quel collega rammentava che, al di là di esempi luminosi di dignità forense, noi siamo il popolo che incarna l’audacia e l’ardimento: “Salvo D’Acquisto” – mi diceva – si immolò a pochi chilometri da qui”.
Ha ragione da vendere, quel collega. A leggere ciò che ha chiesto “l’esperto di altissimo livello”, Fulvio Croce e Giorgio Ambrosoli, tanto per fare qualche nome, si chiederebbero a cosa è valso il loro sacrificio e se questi di oggi sono, davvero, i loro “eredi”.