Da ieri (30.3.16), sarà possibile per i contribuenti annoverare un altro arresto giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione utile ad irrobustire la tutela dei propri diritti di fronte a pretese erariali precarie di motivazioni.
Infatti, con la sentenza, n. 6103/16, è stato confermato il principio secondo cui, nel corso del giudizio, l’ufficio accertatore non può modificare e/o integrare il presupposto della propria pretesa originariamente contenuta nell’accertamento, poiché è solo tale motivazione che delimita i confini della lite.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate non aveva riconosciuto ad una società la deducibilità di alcuni costi riguardanti operazioni con Paesi rientranti nel novero della c.d. black list non indicate separatamente.
Impugnato il provvedimento, in primo grado, ne veniva confermata la legittimità; in secondo grado, la CTR Liguria – Genova riformava la sentenza del Giudice di prime cure, sostenendo che in forza dell’intervenuta normativa modificativa della disciplina relativa alle sanzioni si dovesse applicare al caso di specie la sanzione più favorevole alla contribuente, nella misura del 10%, calcolata sulle spese non indicate rispetto alla indeducibilità dell’intero importo.
Nel giudizio di legittimità, l’Agenzia chiedeva l’accoglimento del ricorso, fondando il proprio ricorso sulla presunta mancata valutazione, da parte del Collegio d’appello, a prescindere dal differente trattamento sanzionatorio, circa l’onus probandi dell’effettiva operatività delle contraenti estere ovvero della convenienza economica delle operazioni compiute dalla contribuente.
La Suprema Corte, respingendo il ricorso, ha rilevato che – in forza della modifica normativa – la “separata indicazione” dei costi esteri ha valenza formale e non più sostanziale, dando così continuità alla decisione di merito di secondo grado. Poi, ha rilevato come l’ufficio avesse fondato esclusivamente l’accertamento su profili di natura formale della violazione, tralasciando – a suo discapito – gli elementi di natura sostanziale, quali la richiesta dell’effettiva operatività o della convenienza economica delle citate operazioni.
Da qui, la conferma del principio di diritto secondo cui, nel diritto tributario, la motivazione posta a base dell’atto impositivo non può essere oggetto di modifica e/o integrazione durante il giudizio, in quanto la difesa del ricorrente si concentra su quanto in essa contenuto.
Infine, gli Ermellini hanno, inoltre, sancito che neanche la disciplina relativa alle sanzioni di cui si è detto sopra, introdotta per l’applicazione retroattiva della nuova norma, potesse derogare al predetto principio in considerazione del fatto che fosse stata una modifica limitata al solo carattere della violazione, degradato da sostanziale a formale, ossia da presupposto di indeducibilità a sanzione amministrativa.
Pertanto, come spesso accade, non basterà più all’ufficio ritenere l’avviso di accertamento quale mero viatico per l’instaurazione giudiziale, ma sarà indispensabile ed inderogabile che esso dia maggiore peso alla fase precontenziosa, richiedendo ulteriore documentazione ai contribuenti ad probationem al fine di circoscrivere in modo completo la motivazione della successiva ed eventuale azione impositiva.