Ancora una volta il cittadino e l’avvocato, non necessariamente in quest’ordine, sono costretti a recitare il ruolo dell’agnello sacrificale nella ennesima pagina amara della Giustizia italiana.
A distanza di circa due anni e mezzo dalla proditoria introduzione della obbligatorietà della c.d. mediaconciliazione, il relativo decreto viene spazzato via dalla decisione della Corte Costituzionale del 24 ottobre scorso, che ha dichiarato l’illegittimità dello stesso per eccesso di delega.
Ed un minuto dopo, il carro dei presunti oppositori della panacea di tutte le ataviche lungaggini dei nostri processi, era già gremito in ogni ordine di posti.
Fortunatamente, almeno in questo caso, il web ci potrà aiutare a smascherare i trasformisti di turno, riconoscendo, dall’altra parte, la non sospetta lungimiranza di chi, come ad esempio l’ex Presidente del Consiglio dell’Ordine di Roma, avv. Antonio Conte, aveva, ab initio, evidenziato tutte le criticità di un procedimento, che , seppur astrattamente idoneo allo scopo, presentava palesi vizi genetici e, soprattutto, era minato alla radice da gravissime lacune logistiche.
Per doverosa completezza di esposizione, si deve però dire che, allo stato, il comunicato della Corte Costituzionale, non è produttivo di alcun effetto giuridico, sì che l’obbligatorietà della mediazione conserva piena operatività. Con la pubblicazione della preannunciata sentenza, invece, detta obbligatorietà diverrà formalmente illegittima, i mediatori professionisti vedranno scorrere dinanzi a loro le lunghe ore della propria formazione e gli Organismi si dovranno interrogare sulla sorte delle rispettive sedi e dei capitali investiti.
Ma, la storia recente può giustificare un ragionevole ottimismo.
Nella terra dei cachi un compromesso si trova sempre.