La Parentopoli dell’Ordine di Roma

Il Consigliere Segretario di un Ordine professionale è responsabile, tra le altre cose, dell’organizzazione amministrativa dell’Ente (salve deleghe specifiche che il Consiglio può conferire ad uno o più Consiglieri) e della gestione delle risorse umane legate da rapporto di lavoro con l’Istituzione. Quando son diventato Segretario io, dell’Ordine degli Avvocati di Roma, ho promesso che non avremmo più instaurato rapporti di lavoro con parenti di dipendenti in servizio: prassi purtroppo avviata da alcuni precedenti Segretari verosimilmente sotto la pressione di taluni Presidenti. Ho sempre creduto che la presenza di genitori e figli all’interno di un ambiente di lavoro pubblico (a meno che entrambi non siano vincitori, con merito, di concorso) nuoccia alla serietà ed alla credibilità del datore medesimo, determinando malumori tra il personale non “beneficiato”.
 
Naturalmente questa decisione mi ha arrecato non poche ostilità con coloro i quali, dipendenti dell’Ordine, prima erano stati abituati a vedersi assumere, con contratti di lavoro a tempo (ma spesso prorogati o rinnovati) i propri figli, fratelli, cognati.
 
Io ritengo che i dipendenti dell’Ordine siano persone per bene e costituiscano una risorsa preziosa per l’Istituzione: tanto che a mia memoria sono stato l’unico rappresentante della storia dell’Ordine a dedicare loro (sul Foro Romano n. 5/6 del 2010) un editoriale di elogio. Tutto ciò non comporta, però, che il personale stesso debba ottenere (oltre ad una retribuzione affatto indecorosa, ai pacchi-dono di Natale e Pasqua, alle borse di studio per i figli in età scolare, ed altri numerosi benefits), dei vantaggi illegittimi quali possono essere il reclutamento nei ruoli consiliari – in stile assolutamente nepotistico – dei propri parenti.
 
Ovviamente, assumere i figli od i fratelli dei dipendenti comporta una certa gratitudine da parte loro e, quindi, un indubitabile vantaggio per chi è chiamato ad amministrare; viceversa, assumere atteggiamenti impopolari, come l’essere contrario a queste prassi, determina una oggettiva contrarietà in coloro i quali, poi, sono chiamati ad eseguire gli ordini.
 
Ma non me ne è mai fregato nulla e, quindi, non ho fatto piaceri di questo genere ad alcuno.
 
Quando è stato bandito un concorso pubblico per la copertura di 12 posti di Area B (diplomati), la domanda di partecipazione l’ha fatta anche la tata dei miei figli. Io sono stato chiamato, dal Consiglio, a presiedere la Commissione esaminatrice e quella ragazza non ha superato neppure la prima prova scritta. Come, del resto, i figli di quei dipendenti che avevano fatto domanda. Ciò basta, credo.
 
Il nuovo Consiglio dell’Ordine romano, insediatosi a febbraio 2012, ha invertito la tendenza ed ha ripristinato – invece – l’antica e “virtuosa” prassi. Tra i trentadue (dico 32!) dipendenti assunti a tempo determinato (chi con la prima scadenza contrattuale al 31 luglio, chi con cessazione del rapporto a fine anno) ci sono 5 parenti di dipendenti in servizio (tre figli e due fratelli, oltre ad un altro figlio di dipendente da poco collocato a riposo: non so se esistano cognati, non potendo riconnettere i loro cognomi a quelli dei dipendenti di ruolo).
 
Non solo. Se si deve fare compiacenza a qualcuno si assume anche qualche figlio di cancelliere in servizio. E così è stato: figli di cancellieri che lavorano in Corte di cassazione, figli di cancellieri che lavorano al Giudice di Pace.
 
Il Consigliere Conte, a proposito di uno di questi casi, ha chiesto al Consigliere Segretario se trovava corretto ed opportuno che una ragazza, figlia di una cancelliera addetta al Giudice di Pace, fosse stata avviata al servizio, da esso Segretario, proprio nel posto dove lavora la madre (cfr. Verbale dell’Adunanza del 22 maggio 2012, sul sito web dell’Ordine). Il Segretario è apparso cadere dalle nuvole rilevando peraltro che i cognomi tra le due donne erano …. diversi (in Italia le ragazze portano il cognome del padre, e le donne sposate sul lavoro conservano quello loro, non assumendo cioè quello del marito).
 
Il personale alle dipendenze dell’Ordine degli Avvocati è costato, nel 2011 (tra stipendi, contributi ed oneri per lavoro straordinario) meno di due milioni di Euro. Su un bilancio di poco più di cinque milioni di entrate l’anno si tratta, da sempre, della voce di spesa più cospicua che l’Ente sostiene. Ma il Consiglio – questo nuovo Consiglio – ha proposto di approvare un bilancio preventivo, per l’anno 2012, che per il personale prevede OLTRE TRE MILIONI DI EURO DI SPESA! Un incremento mostruoso, rispetto al solo anno precedente, che non trova giustificazione alcuna in un momento di così straordinaria e mondiale crisi economica.
 
E pensare che, motivando esclusivamente con l’esigenza di risparmiare (sic!!), il nuovo Consiglio ha deciso di revocare l’intero concorso in essere (quello di cui parlavo sopra, per la copertura di 12 posti di Area B, che era arrivato agli orali), con delibera assunta nell’Adunanza del 12 aprile. Da un lato, cioè, si revoca una procedura selettiva, pubblica e trasparente, per ragioni economiche, dall’altro si assumono 32 dipendenti non di ruolo (sfondando di molto e senza ritegno il limite dei 42 posti in dotazione organica vigente!) con procedura informale e quanto meno “discrezionale”.
 
Ho detto queste cose, pubblicamente, all’Assemblea di approvazione del bilancio, svoltasi il 28 giugno scorso: ed uno, in Aula, mi ha maleducatamente interrotto dicendo che “abbiamo cose più importanti cui pensare”. Questo signore, cui evidentemente non importa se il Consiglio spende un milione di euro in più rispetto all’anno prima per fare assunzioni di piacere, non deve pagare i contributi all’Ordine (che quindi non gestisce i soldi suoi), oppure se li paga deve essere ricco, ovvero ha qualcosa che sinceramente mi sfugge. Io credo, invece, che tutte queste cose lui non le sapesse, come del resto non le sanno tanti altri colleghi che sono presi da mille difficoltà quotidiane e sperano che i loro denari siano amministrati, dall’Istituzione forense cui appartengono, in modo oculato e secondo la diligenza del buon padre di famiglia. Ecco: “padre”. Se l’Ordine deve necessariamente aiutare qualcuno, che allora assuma come interinali i figli disoccupati di quei colleghi che versano in stato di indigenza: avremo forse una cortesia in meno dalla cancelliera del Giudice di Pace ma staremmo, probabilmente, più a posto con la nostra coscienza.
 

Rodolfo Murra

Rodolfo Murra vanta una lunga militanza, dopo aver svolto un breve periodo di libera professione, nell’Avvocatura pubblica. Ha diretto l’Avvocatura del Comune di Roma Capitale e quella dell’Acea, ed ora è il Capo dell’Avvocatura della Regione Lazio. Dottore di ricerca in diritto processuale civile è da molti anni docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali presso “La Sapienza”. Autore di vari contributi a carattere scientifico, ha anche diretto con profitto alcune strutture burocratiche (come l’Ufficio Condono Edilizio del Comune di Roma od il Municipio X). E’ stato Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma per quattro anni, ricoprendo anche la carica di Segretario.