La prova del mandato professionale: la validità delle mail

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Un avvocato richiedeva di essere ammesso al passivo di un fallimento sulla base di un credito a titolo di corrispettivo per delle prestazioni rese a favore della società fallita.

L’istanza veniva respinta.

Il giudice delegato riteneva che l’avvocato avesse in realtà reso prestazioni per società diverse dalla fallita, e soprattutto senza un formale mandato.

nonostante ciò, propose reclamo in sede di opposizione, anch’essa rigettato. Nel caso concreto non venivano presi in considerazione, secondo l’istante, i documenti non tradotti in lingua italiana oltre alle numerose mail fra lui e l’amministratore della società.

Proponeva quindi ricorso in Cassazione rilevando sia in relazione alla mancata possibilità di tradurre i documenti in lingua italiana, limitandosi il giudice delegato a non acquisirli omettendo alcuna motivazione, sia il vizio relativo all’art. 2704 c.c. avendo il giudicante provveduto ad un interpretazione troppo rigida formalmente dei documenti necessari alla prova del mandato professionale.

Sul primo motivo la Corte riconosceva la fondatezza dell’interpretazione data nel ricorso, avendo il giudicante mal interpretato l’art. 122 c.p.c. il quale prescrive la lingua italiana per i soli atti processuali, e non anche per i documenti. Su tali scritti, il giudice, pur non avendo l’obbligo ha la facoltà di nominare un traduttore ex art. 123 c.p.c., di cui si può far a meno quando non vi è contestazione da controparte sul contenuto o sulla traduzione giurata allegata. Solo fuori da queste ipotesi il giudice necessità di un traduttore per poter ritenere acquisiti detti documenti. Per giungere a questo ragionamento gli ermellini richiamavano pronunce consolidate di questa Corte, quali la sent. n. 12525/2015 e la n. 6093/2013.

Sul secondo motivo la Corte ha invece ricordato come il mandato professionale non debba necessariamente avere la forma scritta, ad substantiam o ad probationem, potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso, e potendo il giudice, ex art. 2704 c.c. ammettere la prova testimoniale a dimostrazione del contratto e del suo contenuto. Sulla base di quanto detto, la stessa ha richiamato una precedente sentenza della Corte di Cassazione (sent. n. 8850/2004) la quale aveva riconosciuto la validità di un mandato conferito in forma verbale, risultando lo stesso da indizi plurimi e concordanti.

Per cui nel caso concreto, salvo una questione attinente alla data della scrittura, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso ritenendo le mail intercorse fra il legale e l’amministratore della società, dato il contenuto, idonee a provare la sussistenza di un mandato professionale stragiudiziale di consulenza.

Qui il testo della sentenza: http://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_20958_1.pdf