La nota vicenda dell’omicidio di Fermo del 2016, chiusasi con una sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti, era giunta in Cassazione per la valutazione – tra le altre cose – della compatibilità dell’aggravante della finalità dell’odio razziale con l’attenuante della provocazione.
Con la sentenza n. 2630/2018 la Suprema Corte, Sez. V, nel pronunciarsi in merito al ricorso presentato avverso la sentenza ex art. 444 c.p.p. – per il reato di omicidio preterintenzionale aggravato da finalità di odio razziale e con la concessione dell’attenuante della provocazione e delle attenuanti generiche – ha avuto modo di soffermarsi sulla possibilità di una coesistenza tra l’aggravante speciale prevista dall’art. 3 Decreto Legge 26 aprile 1993, n. 122 (finalità dell’odio razziale) e l’attenuante comune riconosciuta dal n. 2, del comma 1, dell’art. 62 c.p. (c.d. provocazione).
L’impostazione difensiva del ricorrente, infatti, chiedeva il riconoscimento di una incompatibilità logica della coesistenza tra la suddetta aggravante speciale e l’attenuante della provocazione, portando a sostegno di tale tesi, l’ormai pacifica giurisprudenza che ritiene logicamente incompatibili l’aggravante comune di cui all’art. 61, comma 1 n.1 c.p. dei c.d. “futili motivi” e l’attenuante, appunto della c.d.“provocazione”, in ragione dell’impossibilità di una coesistenza nell’attore di due stati d’animo assolutamente contrastanti e reciprocamente escludenti (ex multis Cass. Sez. V, 26 gennaio 2010).
I Giudici di Piazza Cavour, nel dichiarare inammissibile il ricorso, hanno avuto modo di chiarire come “la circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso è configurabile non solo quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulti intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell’agente”.
Partendo da tale assunto la Corte ha, dunque, potuto riconoscere la piena compatibilità logica dell’aggravante in questione con l’attenuante della provocazione in quanto “una cosa è la coesistenza nella medesima azione criminosa di stati d’animo contrastanti mentre altra cosa è la coesistenza tra uno stato d’animo che attenui la gravità del fatto e una condotta, destinata a rendere percepibile all’esterno un sentimento d’odio, senza che assuma rilievo la mozione soggettiva dell’agente […]”.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia al testo della sentenza: Cass., Sez. V, n. 2630 del 22 gennaio 2018 (ud. 28.11.2017)
Avv. Gabriele Andrea Baiocchi