La recente sentenza n. 601/2013 della prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha “ri-acceso” il confronto, che interessa la società italiana sulla tematica del riconoscimento dei diritti alle coppie di fatto, specificatamente a quelle omosessuali.
Ebbene…voglio tentare di far chiarezza su questa “problematica di non poco conto”.
La sentenza della Suprema Corte è stata – da alcuni – travisata, volutamente interpretata “pro domo sua” (N.B. non esistendone i presupposti), per non dire in via analogica, in via estensiva, cercando di vedervi scritti principi di diritto, norme di diritto e riconoscimenti di diritti che tali non sono affatto.
Per poter iniziare l’analisi occorre inquadrare “l’oggetto del giudizio”:
un uomo di religione musulmana, si separa da una donna ex tossicodipendente, con la quale ha avuto un figlio; questa donna, a seguito di comportamenti violenti dell’uomo, chiede ed ottiene l’affidamento in via esclusiva del figlio e “nelle more” va a vivere con una educatrice conosciuta in una comunità di recupero; l’uomo impugna in Cassazione la decisione della Corte d’Appello di Brescia che aveva statuito sull’affidamento esclusivo del figlio alla mamma, lamentando – fra i motivi di gravame- la non idoneità sotto il profilo educativo per lo sviluppo del figlio di una “famiglia” composta da due donne unite da una relazione omosessuale.
Questo è l’ambito dal quale è scaturita la decisione della Cassazione:
– religione musulmana a confronto con una cultura laica, con tutte le delicate conseguenze connesse anche ai rapporti tra religioni differenti;
– problematiche di droga e di recupero;
– violenza in una famiglia inizialmente costituita da un uomo, da una donna e dal loro figlio;
– rapporti tra due donne, nati in una comunità di recupero per tossicodipendenti, poi trasformatisi in una relazione omosessuale;
– problematica di profilo tecnico giuridico – psicologico connessa all’affidamento del figlio;
– decisione della Cassazione – in base al predetto oggetto e contesto – su chi è idoneo ad avere in affidamento il figlio.
La drammaticità della “situazione familiare” unita alla delicatezza della decisione del Supremo Collegio emerge “ictu oculi”.
Ciò precisato occorre evidenziare tutti i profili, altrettanto delicati, che impongo “in primis” il rispetto per le persone di cultura e religione differenti, “in secundis” di orientamento sessuale differente, ed “in tertiis” di rispetto per i principi morali, religiosi, giuridico-costituzionali esistenti in Italia:
– l’affidamento è un istituto giuridico totalmente differente dall’adozione per presupposti di fatto e di diritto;
– la separazione in sede giudiziaria tra due persone che hanno un figlio comporta le conseguenti problematiche giuridiche relative al mantenimento, all’educazione, alla formazione culturale e religiosa dello stesso ed al suo inserimento nella società;
– la famiglia di fatto eterosessuale è oggettivamente differente dalla famiglia di fatto omosessuale;
– la crescita di un figlio in una famiglia eterosessuale formata da un uomo ed una donna è differente (…..quantomeno sembrerebbe “prima facie”) da quella che si potrebbe avere in una famiglia di separati, di divorziati, in una famiglia comunque definita di fatto, o in una famiglia costituita da una coppia omosessuale;
– in casi “particolari” di separazione ma anche di adozione (… ed in tutti quelli che interessano i minori….) è previsto l’intervento dello psicologo (…. non è vietato l’intervento di uno psichiatra o di un sociologo), finalizzato a fornire un contributo scientifico che aiuti “a portare il Giudicante ad una decisione nell’interesse del minore”;
– il contributo scientifico e l’esperienza di tutti i giorni, che contribuisce al formare il “dato di esperienza” sono elementi necessari per poter aiutare un Giudice ad addivenire alla decisione sull’affidamento che sia la più idonea per il minore.
Questi sono, forse, i profili più importanti, sicuramente se ne potrebbero aggiungere altri.
Limitando volutamente l’analisi a quanto sopra indicato, mi sento di confermare con decisione che la sentenza n. 601/2013 della Suprema Corte di Cassazione non riconosce affatto il diritto ad una coppia omosessuale di poter adottare un bambino, tantomeno quello di averlo in affidamento in modo scontato .
Medesimo discorso si deve fare per “l’unico precedente sul tema, che si riferisce a provvedimenti giudiziari che interessano le stabili relazioni di fatto tra persone dello stesso sesso”, cioè la sentenza della Cassazione civile n. 4184 del 15/3/2012: in tale circostanza il Giudicante Supremo ha rigettato il ricorso di due cittadini italiani dello stesso sesso, unitisi in matrimonio all’estero, i quali rivendicavano il diritto alla trascrizione dell’atto nei registri dello stato civile italiano, affermando, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale ed europea, che quel matrimonio non doveva considerarsi inesistente per l’ordinamento interno, ma solo inidoneo a produrvi effetti giuridici.
L’orientamento sessuale delle persone non deve essere discriminatorio o pretestuoso, ma occorre differenziare sempre le varie situazioni.
La Famiglia in Italia è ancora il cardine della società.
I “mutamenti sociali” hanno intaccato decisamente la “stabilità dell’istituto della famiglia”, così come indicato nelle prescrizioni contenute negli articoli 29 e 30 della Costituzione, del codice civile e di tutte le altre normative esistenti:
mi riferisco, soprattutto, alle prescrizioni normative intese dai nostri “Padri Costituenti” e, ovviamente, alle macro-problematiche di profilo economico ( ….l’attualità parla da sola…) , al mondo di internet, alla droga, agli orientamenti sessuali ed a tutto ciò che comporta l’ “evoluzione dei tempi”, nel bene e nel male.
Il problema è limitare il male”, se così è possibile definirlo!
A questo punto occorre interrogarci su questi punti:
– cosa è moralmente giusto?
– che valore e che forza ha il principio di “genitorialità” nell’istituto giuridico della famiglia moderna?
– chi può dire….”questa è la migliore educazione per un bambino?”
– quale deve essere l’esempio di vita migliore per un figlio?
– basta l’esempio quotidiano di un padre e di una madre che vivono in armonia, che fanno sacrifici e che lavorano onestamente?
– basta “l’amore” fra due persone dello stesso sesso a garantire un’educazione sana e fondata su “giusti principi” morali per educare al meglio un bambino?
– quanto incide sull’educazione di un bambino la figura del padre e quella della madre?
Sulla base di quali “elementi probatori” presenti in un giudizio, forniti quindi non solo da un avvocato difensore, un Giudice (….monocratico, collegiale o Supremo…che sia) può e deve statuire che per il bene di un bambino necessitano “esempi di vita” e garanzie che un genitore può dargli meglio dell’altro?
Gli istituti attualmente esistenti nel sistema giuridico italiano consentono di avere la possibilità nel contraddittorio delle parti in causa, di addivenire alla “migliore” decisione nell’interesse del figlio/bambino.
Ma ciò è totalmente e moralmente differente dal pretendere che in una sentenza della Cassazione, specificatamente nella sentenza n.601/2013, vi sia il riconoscimento del diritto alle coppie omosessuali di adottare e/o di avere in affidamento un bambino.
Mi permetto solo di ricordare il “pesantissimo”iter burocratico-processuale che in Italia una coppia di persone (uomo-donna sposate) deve seguire e superare per avere in adozione un bambino: non mi soffermo volutamente sugli specifici punti, ma per il rispetto di tutte queste coppie ritengo che non si debba assolutamente “mistificare” la decisione della Suprema Corte, anche perché si mancherebbe di rispetto al consigliere relatore della sentenza, a tutti coloro che vogliono adottare un bambino, ed anche alle coppie di fatto eterosessuali ed omosessuali.
Le questioni relative al riconoscimento dei diritti alle coppie di fatto non deve e non può essere “la scusa che non scusa” per travisare fatti ed atti di rilievo giuridico/morale.
Anche se l’ordinamento giuridico italiano nell’ambito della cd. “autonomia contrattuale” consente di trovare una tutela atipica, ma rilevante, per tutte le istanze delle coppie di fatto, che – oggi – si indicano e si vogliono presumere come prive di tutela (ovviamente non può essere questa la sede nella quale affrontare anche queste problematiche), ritengo che il pretesto fornito dalla pubblicazione della sentenza n.601/2013 sia lo strumento meno idoneo per avvicinarsi e raggiungere il preteso scopo.
Di non poco rilievo rimangono sempre le prescrizioni contenute nel “matrimonio concordatario”, così come di non poco conto resta la presenza del Vaticano in Italia.
Non si può, infatti, assolutamente sottovalutare il peso morale, storico e giuridico che ha la cultura e la religione cattolica in Italia.
Non essendo il caso -questo- di addentrarsi in una “critica più o meno gratuita” sugli effetti della presenza della Chiesa Cattolica in Italia, tantomeno quella di pretendere il “riconoscimento indiretto” dei diritti di tutte le coppie di fatto, voglio evidenziare la necessità di delimitare il campo di critica giuridico-morale-politica all’oggetto del giudizio, senza espanderlo in modo “clamorosamente strumentale” ad altre circostanze.
Lascio alla preparazione di ogni giurista, alla sensibilità di ogni persona, a svariato titolo più o meno coinvolta nella vicenda rappresentata dalla sentenza suddetta, la capacità e l’onestà morale di apprezzare queste brevi riflessioni e di criticarle in modo costruttivo ed utile per la crescita di tutti.