PERCHE’ MENTONO QUANDO TI DICONO CHE CI SONO TROPPI AVVOCATI?

QUANDO VOGLIONO COLPIRE LA GIUSTIZIA, COMINCIANO CON TOGLIERTI IL DIRITTO DI DIFESA

Pubblico questo bellissimo articolo di un brillante Collega di Eraclea (Venezia), che scrive sotto lo pseudonimo André Moreau, che deve spingere tutti ad una profonda riflessione sul ruolo costituzionale dell’Avvocatura, ed a riappropriarci di un senso di nobiltà ed orgoglio per la nostra professione, martoriata dalle esigenze di spazzare il contenzioso per carenze strutturali che non dipendono certo dalla domanda di giustizia dei cittadini.

NIENTE DIFESA NIENTE GIUSTIZIA

Quando la questione giustizia diventa scomoda, parte il mantra: guru, opinionmaker e giornali raccontano ovunque che il passaggio cardine per renderla efficiente é limitare la difesa, ovvero parte l’attacco personale a chi rappresenta la Tua difesa.

Evvai. Gli avvocati sono troppi, sono litigiosi, hanno troppo potere, costano troppo anche se te li paghi tu, non vogliono far funzionare la giustizia, assistono i presunti criminali (non presunti innocenti) e quindi vanno associati eticamente ai loro clienti, hanno sempre qualche pecora nera che prova come siano loro la causa dei disservizi e così via fino al famoso “lo vuole l’Europa”.

Insomma, gli avvocati sono il “capro espiatorio perfetto“, ma di questo ho già scritto.
Quello che oggi mi interessa evidenziare é che, in particolare, tutto ciò accade ciclicamente ed ogni ciclo si completa quando il sistema si avvicina al collasso e si deve bypassare la necessità di una riforma radicale del sistema giustizia, non di qualche suo singolo particolare (non basta più dire cambiamo il processo penale, quello civile, l’avvocatura e così via).

É storia già vissuta.

Anzi, è storia che si rinnova. Si arricchisce di episodi, analogie ed associazioni come quella dell’esistenza di avvocati buoni e cattivi, a seconda dei clienti innocenti o meno che scelgono, o dello stereotipo dell’avvocato ricco che non capisce i veri problemi dell’assistito, o di difese poco o troppo poco spregiudicate con il solo fine di fare gli interessi della controparte, di legali che vendono cause vinte in ragione di qualche “Gombloddo” da esplorare etc.
Leggende metropolitane costruite ad arte per alimentare la ricerca del capro espiatorio o per innescare l’invidia sociale o, persino, per cercare risposte accettabili dove spiegazioni razionali non c’è ne sono mai state, perché il sistema sta solo collassando ed é arrivato alla follia anarchica del “chissenefrega”.

Insomma, anche oggi si cerca di raccontare agli italiani che hanno ragione e si deve pur far qualcosa, ma … non serve mettere mano al sistema giustizia in sé – toccare la burocrazia di Stato, perché basta come sempre cercare una soluzione esterna (che sta sempre nel mondo del privato) su cui far ricadere costi e disagi.

Basta quindi operare sulle condizioni di coloro che la macchina la fanno funzionare mediando il rapporto Stato-Cittadino: gli avvocati.

poco importa che proprio gli Avvocati esistano perchè esiste il diritto di difesa al cui esercizio sono essenziali.

  • Che il diritto di difesa debba essere effettivo.
  • Che senza diritto di difesa non esiste Giustizia degna di questo nome.
  • Che salvare la macchina giustizia sacrificando il ruolo della difesa sia solo una forma di eutanasia dei diritti del cittadino.
  • Che nessuno abbia il coraggio di farlo ad alta voce, mentre molti nel pubblico siano ben disposti a violare la Costituzione da dietro le quinte.

Insomma, a fronte delle proclamate supreme necessità di un’ennesima riforma di stile montiano, si passa da una concezione dell’avvocatura quale strumento necessario ad una Giustizia Giusta, e non virtuale, ad un’avvocatura costo e quindi orpello sacrificabile.

In questi momenti torna perciò alla mente il classico adagio: una bugia ripetuta migliaia di volte diventa una mezza verità.

Gli Avvocati, celebrati mediaticamente con i loro difetti e delegittimati a furor di TG, vedono il loro ruolo costituzionale oscurato per diventare la vittima sacrificale di un salvataggio richiesto dal sistema stesso, come su Matrix: la Pubblica Amministrazione è rimasto l’unico collante nazionale  e quindi va preservata ad ogni costo. Anche trovando qualcuno che paghi per le sue responsabilità.

Poco importa che la qualità del prodotto medio dei servizi amministrativi che lo stato eroga per il sistema Giustizia sia uscito solo ieri da mezzi e strutture ottocenteschi, pur conservando personale ancora con la passione per ruoli buoni nelle istituzioni delle satrapie orientali e con culture ancora lontane dallo scoprire i vantaggi del digitale.
Poco importa che i costi di ammodernamento di strutture e know how siano già stati rovesciati per intero addosso alla classe forense, mentre nella PA della Giustizia troviamo che l’ultima assunzione di personale é del lontano 1995 e l’età media sia di oltre 50 anni, alla faccia dei trentenni nativi digitali.

Il mondo della pubblica amministrazione non ammette repliche o riforme. Ma le colpe restano fuori da quel microcosmo: di certo, ogni qual volta si inciampa in una follia ingiusta, non si può ricordare che il potere di decidere nella giustizia non lo ha chi lavora nella giustizia assistendo il cittadino. Ancor meno passa poi il messaggio che il costo della difesa é crollato negli ultimi 5 anni: siamo passati da un tariffario che superava del 4% la media europea ad una riduzione del 20% dell’incasso medio degli studi legali, con ogni ovvia conseguenza.

Tutto questo però non basta e ben ci si guarda dal menzionarlo nell’immaginario collettivo italiano. Anzi, si vive ancora di stereotipi opposti che vedono l’avvocato perseguire il prolungamento della causa, pur non sapendo più spiegarne il perché o persino il come. Ma su questo torno subito.

Il mantra vuole allora che si parli di chi é più visibile e si ometta di ricordare che non é l’avvocatura a decidere rinvii, sentenze, trasferimenti dei giudici, promozioni, procedimenti disciplinari, gestione degli uffici giudiziari, loro apertura, chiusura e livello di efficienza.
Nessuno si chiede perché, per scoprire i dati che illustrano il funzionamento dell’intero sistema giudiziario si deve aspettare il biennale rapporto europeo (CEPEJ), che riguarda l’intera UE, e non si sappia mai prima cosa funziona e cosa no, chi ne é stato responsabile e cosa si é fatto per sanzionarlo o premiarlo. Tutto resta un mistero degno di leggende complottiste con templari e massoni.

Se tutto ciò non bastasse si potrebbe anche chiedersi quali sono i risultati delle precedenti manie di riforma: negli ultimi 20 ci sono state più di una quindicina di modifiche del sistema processuale, ma non se ne parla mai. Non ci si chiede se quell’approccio riformatore ha avuto senso, dove ha sbagliato e perché, quale lezione trarre e chi non ha più titolo di proporre alcunché, visto che ha già toppato abbastanza.
Alla fine della fiera ci si rende conto che, forse, i vari riformatori non hanno nemmeno avuto consapevolezza delle ricadute delle loro scelte di intervento sul sistema. Si é tentato, si é intervenuti, si é fatto di tutto, ma senza una chiara comprensione della realtà su cui operava, degli interlocutori e delle risorse disponibili.
In tutto questo ci sta poi anche il mancante senso di utilità che ne ricavano i singoli operatori che vivono all’interno del mondo della Giustizia: anche ai non addetti ai lavori basta un giro esplorativo per le cancellerie di un qualsiasi tribunale della penisola per avvertire il diffuso senso di malessere, demotivazione e abbandono che provano i dipendenti degli uffici giudiziari.

Purtroppo, di tutto quel che necessita un serio esame di coscienza da parte della Pa non resta traccia nella coscienza politica e mediatica nazionale. Oramai credo si tratti di una sorta di tabù. Lo Stato non sbaglia, non può sbagliare ed é persino vietato parlarne.
I problemi collegati ad ipotetiche relazioni con inefficienze del sistema possono essere solo criticati in via generale, poi si deve intervenire su altri fronti e trovare ben altri responsabili.

Insomma, deve pagare qualcun altro.
E, se si tratta di Giustizia, chi meglio degli avvocati?
Del resto, mai come in questo momento le questioni inerenti efficienza ed economia hanno saputo rendersi prioritarie ad ogni compressione dei diritti. E magari quando si chiede se il diritto di difesa sia così importante si riceve una risposta poco interessata di chi pensa solo alla difesa degli altri, sempre comprimibile, piuttosto che alla propria, che si scongiura sia mai necessaria.
Come sempre, sono tutti generosi con ciò che altrui.

Passiamo così da uno Stato di diritto, con il cittadino protagonista attivo nella richiesta di giustizia, ad un Stato partigiano, con diritti riconosciuti a seconda del soggetto che ne chiede tutela. Per questo, se nel primo caso il paladino del richiedente tutela era l’avvocato, nel secondo serve solo qualificare l’importanza sociale di chi chiede giustizia per decidere se dargliela, e l’avvocato non serve più.
Cambia la stessa concezione del sistema: si lascia il principio de “la legge é uguale per tutti” per inchinarsi all’unico comandamento della “giustizia veloce”: gli Avvocati diventano solo un freno al cambiamento e, quindi, ancor più sacrificabili.

Siamo perciò di fronte ad una nuova offensiva contro l’avvocatura e ad un’ulteriore compressione del diritto di difesa, al suo accesso ed al suo libero esercizio.

Aspettatevi giornali e TV pronti a chiedere cause più veloci, ma non decise meglio, smaltimento dell’arretrato, ma non attenzione ai cittadini smaltiti, meno avvocati, ma non più tutela dei diritti, economie per l’Europa anche se con meno giustizia per tutti.
Di questo, tuttavia, non si parla ancora abbastanza. In fondo a ciascuno di noi risuona anche troppo forte il famoso “speriamo che io me la cavo” e tutti ci illudiamo che ciascuno di noi veda sempre riconosciuti “almeno” i suoi diritti.

E se invece non sarà così? Se poi, quando toccherà a te, il tuo avvocato avrà solo armi processuali spuntate?
Pensaci oggi, domani potresti non averne più l’occasione.

Marco De Fazi

L'Avvocato Marco De Fazi, classe 1961, si è laureato nel 1986 ed si è abilitato alla professione nel 1990: è cassazionista dal 2002 e lavora nello studio associato di famiglia. Ha ereditato dal padre, Avv. Walter De Fazi (mancato nel 2011 dopo 60 anni di professione), la passione per la responsabilità civile. Ha fatto parte di commissioni di studio consiliari ed associative, ed è stato per dieci anni il rappresentante italiano del network europeo PEOPIL (Pan-European Organization of Personal Injury Lawyers). Parla e scrive fluentemente inglese ed in misura più scolastica francese. Ha fatto parte della Commissione per l'esame di Avvocato 2007 ed è membro storico del Direttivo dell'Associazione Forense Emilio Conte, di cui ora è il presidente. Membro attivo della NIABA, associazione USA di avvocati italo-americani.