Uno Stato può perdere in guerra, può essere sopraffatto nelle contese economiche, può essere disfatto dal fallimento delle istituzioni.
Il collasso sociale, economico e istituzionale di cui l’Italia è preda, è l’esempio rovinoso della concomitanza delle tre cause, indotte da una politica inesistente, prona, per interessi di bassa cucina, ai diktat di Stati nemici o concorrenti.
Benedetto Croce aveva avvertito nel 1947 che il Trattato di Pace, in realtà un atto di imperio unilaterale, dovesse essere subito, perché tutta l’Italia, non solo una parte, aveva perso la guerra, ma non ratificato con voto unanime in parlamento, pena la perdita irrecuperabile della dignità nazionale.
La sua voce rimase inascoltata e l’Italia ha perso dignità a favore di una politica dapprima modesta, in seguito meschina e poi ignobile, che, tramite la cooptazione, le clientele, il malaffare, la corruzione e il tradimento delle istituzioni, ha devastato il paese.
Non ci sono stati padri nobili e i figli sono ignobili.
Le analisi generiche e strumentali costituiscono un alibi e magari un’occasione di guadagno a vario titolo, le lamentele sono interessate, le omissioni, vuoi per incapacità, vuoi per interesse personale o di gruppo o per paura, sono la cifra del collasso sociale, politico ed economico e segnano la sconfitta dello Stato di diritto.
I cittadini sono rassegnati perché si rendono conto del difetto di rappresentanza, dell’inganno della politica e dell’inefficienza delle istituzioni, che più dovrebbero proteggere le loro legittime aspettative di tutela della salute, dell’apprendimento utile, che sia scolastico, tecnico o accademico, e del risparmio.
La (mancata) tutela del risparmio, depredato al di fuori di ogni regola del mercato e perfino della speculazione, è il fattore primario del collasso di grandi imprese, che, nei diversi settori, hanno segnato lo sviluppo del paese.
In alcuni casi, normative incresciose, quanto dissennate, e interpretazioni giudiziarie discutibili hanno provocato l’affanno, il collasso o la scomparsa di imprese che hanno contribuito significativamente alla crescita dell’economia nazionale.
In altri casi, recenti, meno recenti e in corso, le imprese sono state “salvate” a carico dei risparmiatori e della collettività, ma la mancata collaborazione tra autorità giudiziaria e istituzioni di settore, da una parte, e risparmiatori, dall’altra, non ha consentito l’effettivo perseguimento delle responsabilità a fini di ristoro del danno, anche per il grande equivoco che la giustizia penale possa assicurare soddisfazione ai risparmiatori.
La giustizia penale non ha il compito di recuperare tutto il maltolto, che costituisce risultato accessorio, parziale, molto parziale, e di gran lunga differito del processo penale.
Purtroppo, nell’immaginario collettivo, a seguito dei processi di Mani Pulite, che hanno reso celebri i protagonisti e hanno indotto l’affermazione del diritto penale di impresa, ma non hanno recuperato le grandi risorse sottratte alle imprese e alla collettività sotto varie forme, il cittadino attende che procura e tribunale penale svolgano la funzione salvifica, assicurino i malfattori alle patrie galere e provvedano alla restituzione dei risparmi sottratti con gli interessi e le scuse delle istituzioni.
Non è così, né l’ordinamento giuridico, nel cui ambito il sistema giudiziario civile è preposto ad assicurare la tutela effettiva dei diritti, può essere piegato alle aspettative del risparmiatore deluso o alle leggende del pool di Mani Pulite, ancorchè ampiamente meritevole sotto tanti profili.
Il cittadino nella tutela dei propri diritti deve assumere l’iniziativa, pretendendo – questo sì – che il sistema giudiziario civile, investito della funzione, assolva il compito assegnato dalla legge.
L’esperienza di tre grandi collassi economici e finanziari, Parmalat, Monte dei Paschi e Seat Pagine Gialle, con le distinzioni dovute alla diversità dei settori, delle cause e dei tempi di espletamento dei processi, essendo il primo archiviato, mentre gli altri due sono tuttora in corso, richiede prudenza di analisi, raccolta dei dati ed esercizio della capacità previsionale.
Le associazioni dei risparmiatori e i legali impegnati nelle vicende Parmalat e Monte dei Paschi potranno offrire il rispettivo contributo ad un’inchiesta che il Nuovo Mille svolgerà in perfetta solitudine, vista la disattenzione generalizzata per il tema del risparmio (chissà perché!), testimoniando sulla (in)effettività della tutela di sistema, sui rapporti con l’autorità giudiziaria e le istituzioni di settore, sull’accesso agli atti e sulla trasparenza dei processi decisionali, sulla (in)influenza della politica, sull’avvicendamento delle persone incapaci o negligenti, sulla prontezza della risposta alla domanda di giustizia.
Sul caso Seat Pagine Gialle il Nuovo Mille è informato direttamente, potendosi avvalere della collaborazione dei legali dei risparmiatori impegnati da oltre due anni nella vicenda.
L’esperienza, almeno interlocutoria, di funzionamento efficiente della istituzione di settore a tutela del mercato, la Consob, non è confortante, perché a maggio del 2011, prima che il collasso progredisse, uno dei legali dei risparmiatori aveva avvisato della sussistenza di responsabilità originarie che potessero avere prodotto il dissesto incipiente, invitando a inibire iniziative destinate ad influenzare il valore del titolo, già malridotto.
La Consob non diede retta e nel 2012 i fondi azionisti di controllo deliberavano l’operazione, enfaticamente definita di “ristrutturazione”, che diluiva le partecipazioni di minoranza dal cinquanta per cento al sei per cento.
Lo stato di dissesto è stato provocato dalla originaria acquisizione della società a debito e, nell’immediatezza, dalla distribuzione di un maxidividendo altrettanto a debito (in concreto, tanto per precisare, in assenza di utili costituiti a riserva a norma di legge!) e l’indebitamento ha provocato la precipitazione del titolo, il cui corso non è stato sospeso.
Questi i fatti.
Lo stato di crisi si è protratto per quasi dieci anni, finchè un gruppetto di risparmiatori ha chiesto il sequestro dell’azienda, provocando la domanda di concordato preventivo, in cui l’imputazione del dissesto al debito è inequivoca, le cause sono certificate dai documenti di impresa e le conseguenze previste dalla legge costituiscono consolidata giurisprudenza di legittimità: fallimento della società, qualificazione delle responsabilità di ogni tipo, promozione delle iniziative giudiziarie idonee alla ricostituzione del patrimonio sociale e alla soddisfazione delle persone e delle entità offese, tra cui, primariamente, gli azionisti di minoranza e, secondo chi scrive, l’agenzia delle entrate e la previdenza sociale.
L’azienda, invece, maltrattata dai fondi, conferita, per chissà quale disegno, ad altra società interamente controllata, merita di essere tutelata, coinvolgendo nel controllo transitorio il personale, l’agenzia delle entrate e la previdenza sociale, se decideranno di svolgere pretese di risarcimento, e gli azionisti di minoranza, che, a tutela delle loro legittime aspettative, hanno chiesto al tribunale competente l’accesso agli atti della procedura e alla Consob rinnovata attenzione sul corso del titolo per scongiurare alterazioni del mercato.
Il tribunale tarda a rispondere e la Consob non segnala attenzione. Mentre, all’interno della società, viene ventilata la prospettiva della fusione tra la società in stato prefallimentare, non operativa e fortemente indebitata, e la società controllata conferitaria dell’azienda.
Il rimedio sarebbe peggiore del male e, secondo chi scrive, illecito sotto il duplice profilo civile e tributario.
Ai colleghi ed ai lettori si renderà conto degli avvenimenti, della risposta delle istituzioni e della politica, finora inutilmente sollecitata, e, nell’ambito dell’inchiesta, verrà dato spazio ad interventi, precisazioni e correzioni.