La Suprema Corte, con la pronuncia in oggetto, ritorna sul controverso funzionamento del filtro di ammissibilità dell’appello, previsto dall’art. 342 c.p.c. conferma l’inammissibilità del gravame che si limiti a riproporre le considerazioni svolte in primo grado e non individui con esattezza i punti della sentenza oggetto di censura.
Il caso
La vicenda trae origine dall’ordinanza con cui il Tribunale di Torino aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto avverso una sentenza del Giudice di pace per carenza di specificità dei motivi di impugnazione, ex art. 342 c.p.c., in quanto l’appellante:
- si era limitato a riproporre le considerazioni svolte in primo grado;
- non aveva neppure individuato con esattezza i punti della sentenza oggetto di censura.
Il ricorso per cassazione
A medesima sorte è destinato anche il successivo ricorso per cassazione, con cui il ricorrente si duole della violazione dell’art. 342 c.p.c..
La Suprema Corte, infatti, lo dichiara inammissibile per violazione del principio di specificità e mancato assolvimento dell’onere imposto al ricorrente ex art. 366 c.p.c., rilevando come il ricorso si sia limitato ancora una volta a riprodurre integralmente l’atto di gravame “senza individuare, come suo onere, quali passaggi di detto atto siano – sia pure a suo parere – idonei a confutare la statuizione impugnata, e segnatamente le due decisive carenze accertate dal Tribunale di Torino, segnatamente in merito alla formulazione di specifici motivi di appello, da un lato, ed alla individuazione dei passaggi decisionali di primo grado oggetto delle doglianze, dall’altro”.