Di recente, la Suprema Corte di Cassazione – con ordinanza n°2480 del 13 dicembre 2018, depositata il 29 gennaio 2019 – è ritornata sui criteri sulla stregua dei quali determinare la debenza e la successiva quantificazione dell’assegno divorzile.
La pronuncia trae origine dal ricorso presentato da un’ex moglie avverso la pronuncia con cui la C.d’A. di Bologna, in parziale accoglimento dell’appello presentato dall’ex marito avverso la sentenza del giudice di prime cure, aveva ridotto l’assegno divorzile in favore della moglie da € 1.000,00 ad € 600,00 alla luce delle “…poliedriche capacità imprenditoriali e la percezione di un reddito superiore a quello dichiarato, ritenendo tale minor importo sufficiente a garantirle il tenore di vita goduto durante la vita matrimoniale”.
La Suprema Corte, investita della questione, preliminarmente richiama i principi di diritto affermati dalle SS.UU. nella nota sentenza n°18287 del 2018:
- “all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”;
- “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”;
- “il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della n. 898 del 1970,art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto”.
La Corte trasteverina, rileva altresì che “…la mancata richiesta di assegno di mantenimento in sede di separazione non preclude di certo il suo riconoscimento in sede divorzile, ma può rappresentare un valido indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione relativi alle condizioni economiche dei coniugi”.
Alla luce di quanto sopra la Suprema Corte cassa pertanto il provvedimento della Corte d’Appello, per i dovuti accertamenti, alla luce dei principi sopra richiamati.