Avvocato e soprattutto DONNA

Il problema delle pari opportunità per le toghe rosa

toghe rosa

 

Oramai, le donne avvocato costituiscono la metà dell’avvocatura in tutti gli ordini forensi italiani.

 

Purtroppo, però, rivestono ancora un ruolo marginale.

 

Perché?

 

Numerose sono le ragioni.

 

Innanzitutto, l’accesso, la partecipazione e non ultima la permanenza delle donne professioniste nel mercato del lavoro sono inevitabilmente caratterizzate dalla poliedricità dei ruoli rivestiti dalle stesse.

 

Gli avvocati donna devono conciliare la vita lavorativa con le responsabilità familiari, per un modello socio-culturale che impone (a tutt’oggi nel 2013!) che sia la donna a dover gestire ogni responsabilità relativa  alla gestione della casa, dei figli, del marito.

 

Per cui la famiglia da nucleo e patrimonio di beni affettivi, si trasforma inevitabilmente in un ostacolo alla realizzazione personale.

 

In una tale situazione culturale, la maternità costituisce un evento nella vita delle donne che condiziona fortemente (ahimé!) il proprio sviluppo professionale.

 

Mi viene in mente un ricordo di quando ero agli inizi del mio percorso lavorativo e mi trovavo nel supermercato della mia zona alle prese con i capricci del mio primogenito che voleva svaligiare il reparto dolciumi ed io nel riprenderlo ho dovuto alzare la voce.

 

Ero nelle vesti della più disperata delle massaie e  naturalmente chi mi trovai improvvisamente di fronte? Il mio primo cliente importante!

 

Mi sentì minata nella professionalità e temetti che potesse vedermi  in una luce di “desperate housewife” piuttosto che giovane avvocato rampante.

 

Ebbi questa sensazione non tanto perché mi trovassi con mio figlio quanto perché si trattava di orari d’ufficio ed i clienti pretendono che gli avvocati siano in studio sempre e comunque.

 

Ero molto giovane!

 

Oggi non proverei le stesse sensazioni mi sono evoluta diventando assertiva e volitiva.

 

Purtroppo non è solo la maternità a penalizzare la donna.

 

Infatti, nonostante viviamo nel 21° secolo, dobbiamo ancora fare i conti con l’immaginario collettivo di quella Clientela che continua a vedere questa professione un lavoro per uomini.

 

Complice le erronee convinzioni che le caratteristiche di un “grande avvocato” siano il cinismo e il famigerato “pelo sullo stomaco” e che tali peculiarità non appartengano geneticamente alla donna, ci troviamo ancora a lottare per modificare la visione culturale dei “prìncipi dei fori” e dobbiamo dimostrare che “essere avvocati” significa anche e soprattutto: essere dotati di intuito e di memoria, avere una innata propensione all’attività di  ricerca, allo studio e una  naturale capacità di ascolto. Tratti che sono estremamente marcati nella natura femminile.

 

E’, infatti, innegabile che le donne sono caratterizzate da un’intelligenza emotiva, le cui doti si estrinsecano in  sensibilità ed empatia  ciò consente di entrare in sintonia con i problemi dei clienti e di trovare con maggiore celerità la soluzione degli stessi.

 

La capacità empatica è un elemento di grandissima importanza in un mondo globalizzato, dove, oltre alle differenze generazionali e di genere, saranno sempre più presenti molteplicità di contatti fra culture e visioni del mondo differenti.

 

Occorre sensibilizzare, nella società civile, la consapevolezza che gli avvocati donna vincono le cause tanto quanto gli uomini e sono molto organizzate e precise nella gestione dell’attività di studio.

 

Tuttavia, vi è una piccola nicchia di donne che è penetrata, non senza grandi fatiche e rinunce, nei territori prevalentemente maschili riuscendo a sfondare il cosiddetto “ ceiling glass” ovvero il “soffitto di vetro”, cioè il punto della scala gerarchica, formalmente invisibile, che le donne non riescono ad oltrepassare.

 

Ciò consente di visualizzare all’orizzonte un lento ma costante decremento delle disuguaglianze di genere.

 

In Italia le logiche di sviluppo delle carriere privilegiano, tuttora, il sesso maschile in quanto nella valutazione della professionalità i clienti richiedono la massima disponibilità nonché  un costante investimento temporale.

 

Purtroppo, la cultura è permeata del concetto  del  “face time”  ovvero del “tempo di facciata”-  che indica la quantità di tempo trascorsa in ufficio, non tanto per evadere le scadenze quanto per dimostrare a clienti e colleghi il proprio impegno in misura assorbente- piuttosto che dal “quality time”.

 

Al contrario l’Avvocato donna, ma anche madre e moglie, ovviamente, non può attardarsi in studio in quanto subentrano le responsabilità familiari, priorità innegabili!

 

Ciò avviene perché mancano i servizi a tutela della maternità: gli asili nidi chiudono e non tutte possono permettersi una baby sitter o una tata.

 

Alla donna viene precluso il contenzioso più interessante e remunerativo ovvero il diritto societario, bancario, commerciale, nicchie esclusivamente di genere ove il suindicato face time è una prerogativa tutta maschile.

 

Ciò accade in quanto vi è un preconcetto innegabile in base al quale la donna è più adatta ad occuparsi di diritto di famiglia, questioni condominiali, infortunistica, perché più impegnata nelle attività familiari e per tale ragione ritenuta meno affidabile.

 

Ed è infatti stato accertato che le donne iscritte all’albo guadagnano circa 1/3 del fatturato dei colleghi di sesso maschile e tutto ciò è, ad’ oggi, inaccettabile.

 

Vorrei, oltretutto, evidenziare che una ricerca del Censis promossa dal Cnf (Commissione pari opportunità) e dall’Aiga (con l’importante contributo dell’Avv. Alessandra Abbate) ha rilevato che:

 

L’Italia nel divario di genere è tra i Paesi più arretrati. Nelle classifiche mondiali è al 74° posto su 134, fanno meglio di noi tutti i Paesi europei, peggio solo il Giappone tra le maggiori economie industrializzate”.

 

Ritengo che noi donne dobbiamo partecipare attivamente e non passivamente ad un processo di evoluzione culturale.

 

Per tale ragione è importante la presenza delle donne all’interno degli organismi di rappresentanza.

 

Sul punto, un importante passo avanti è stato avviato con l’introduzione della riforma forense grazie alla quale sono state previste le quote rosa.

 

L’art 28, comma 2, del testo medesimo ha previsto che in tema di composizione dei Consigli dell’Ordine circondariali il riparto dei consiglieri da eleggere va effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi. Il genere meno rappresentato dovrà ottenere almeno un terzo dei consiglieri eletti.

 

Concludendo auspico l’elaborazione di proposte che incidano concretamente sul miglioramento degli standard lavorativi degli avvocati donna.

 

Iniziando dalle politiche di sostegno alle stesse ovvero:

–         interventi legislativi volti alla promozione dell’accesso delle donne alla professione  a mezzo di  incentivi, anche di natura economica, per l’apertura dello studio legale con l’introduzione di sgravi fiscali per quelli a maggioranza femminile;

 

–         norme di deregolamentazione per il regime contributivo in particolare durante la fase della maternità;

 

–         introduzione di serviziche consentano maggiore facilità di accesso all’asilo nido,  i cui orari dovranno essere compatibili con l’attività professionale, nonchè  assistenza domiciliare e  servizi di trasporto alla ludoteca;

 

–         modifiche agli studi di settore introducendo la variabile di genere.

 

 

Tutto ciò può avvenire se muterà la coscienza sociale e culturale.

 

 

Deve diventare anacrostica la celebre frase della sociolinguista americana Deborah Tannen la quale affermava   “La via verso l’autorità è molto ripida per le donne e una volta giunte in cima si trovano in un letto di spine”.

 

Anna Maria Tripodi

Avvocato, nata il 27 maggio 1974.
Laureata in Giurisprudenza, il 23.04.1997, presso l'università degli studi di Roma "Tor Vergata".
Iscritta all'albo degli Avvocati di Roma il 26.07.2000.
Iscritta all'albo speciale degli avvocati Cassazionisti nel settembre 2012.
Senior Partner "Studio Martelli & Partners".
Svolge attivita' professionale nell'ambito del diritto penale e della corporate compliance.