Riflessioni in tema di deontologia forense, alla luce delle nuove riforme del processo civile

SOMMARIO: 1. Posizione del tema: i principi ispiratori. – 2. I rapporti dell‟avvocato con i clienti, i testimoni, i magistrati e i terzi. – 3. La mediazione delle controversie civili, il cd. patto di quota lite e le nuove funzioni dell‟avvocato. La deontologia forense fra tradizione e innovazione. – 4. Conclusioni.

 

deontologia

 

1. Posizione del tema: i principi ispiratori.

 

Deontologia è etica fatta norma[1]. Intesa quale complesso di regole che disciplinano comportamenti non di carattere tecnico dell‟avvocato[2], la deontologia forense – come ogni sistema di norme concernenti l‟esercizio di una professione – fa leva su principi cardine, che informano di sé i singoli disposti.

 

Vero è, infatti, che, per meglio delineare la normativa sui rapporti tra l’avvocato e i clienti, la controparte, i testimoni e i magistrati, è necessario soffermarsi sui pilastri fondanti il sistema[3].

 

Viene, anzitutto, in preminente rilievo l’articolo 5 del codice di deontologia forense, per cui l’avvocato deve ispirare la propria condotta all’osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro. Mentre questi ultimi riguardano il comportamento dell’avvocato in generale, tanto da incidere persino sulla vita privata del professionista[4], gli ulteriori principi di lealtà e correttezza – consacrati all‟articolo 6 del citato codice – investono, in modo precipuo, l’attività professionale e, in particolare, quella processuale. Probità, dignità e decoro attengono all’essere, imponendo un contegno coerente e rispettoso dell’immagine dell’ordine forense[5]; lealtà e correttezza segnalano, invece, un modo di agire, invitando all’osservanza delle regole e al rifiuto delle scorciatoie illecite, inidonee a giustificare ogni fine[6].

 

Poiché, poi, l’attività forense si esplica, anzitutto, nei rapporti con la parte assistita, è anche e soprattutto al dovere di fedeltà che bisogna guardare per completare il quadro dei doveri professionali. Il rispetto della posizione del cliente, e il conseguente e correlato obbligo di non arrecare pregiudizio ai suoi interessi, nonché di astenersi da ogni collusione con la controparte, rappresentano il nucleo della prestazione della attività professionale dell’avvocato[7].
Vengono, infine, il dovere di diligenza, che è il complesso delle cure e cautele funzionali allo svolgimento di qualsivoglia condotta tipica, e costituisce il parametro con il quale vagliare la singola prestazione del legale, il dovere di segretezza e riservatezza, quello di indipendenza, di difesa, di competenza e di verità.
Se la diligenza garantisce la qualità delle prestazioni, è la competenza ad affermare la capacità specifica richiesta, con riferimento ad un caso concreto, dalla parte assistita[8]. Alla competenza si approda, poi, giusta un’adeguata preparazione professionale, che consenta l’acquisizione delle nozioni necessarie per l‟esatta esecuzione degli incarichi, e risulti conforme all’obbligo della cosiddetta formazione permanente[9].
Indipendenza e segretezza sono, poi, due facce di una stessa medaglia. Nel decoro professionale rientra sia la prima, da intendersi come obbligo di mantenere una vera e propria autonomia rispetto al potere o ad ogni gruppo di persone di qualsiasi natura, sia la seconda, che costituisce la condizione stessa di un’effettiva libertà ed indipendenza dell’attività professionale. Il segreto, infatti, che ha contenuto più ampio della riservatezza[10], è un tutt’uno con il ministero d’avvocato, rappresentando, per quest’ultimo, un limite ideale invalicabile e, per la parte, un diritto e una difesa di essenziale importanza.
Se, infine, esista un dovere di verità è cosa, a tutt’oggi, dibattuta[11]. Vero è che l’articolo 14 del codice di deontologia forense espressamente prevede che “le dichiarazioni in giudizio relative alla esistenza od inesistenza di fatti obiettivi, che siano presupposto specifico per un provvedimento del magistrato, e di cui l’avvocato abbia diretta conoscenza, devono essere vere e, comunque, tali da non indurre il giudice in errore” e che “l’avvocato non può introdurre intenzionalmente prove false”. Va, nondimeno, rilevato che, nel menzionato disposto, sono più le eccezioni che le regole: sembra, in ogni caso, che di responsabilità disciplinare possa sì parlarsi, ma solo ove l’avvocato abbia chiesto un provvedimento particolare all’autorità giudiziaria ed abbia menzionato fatti specifici, di sua diretta ed immediata conoscenza. E’, poi, necessario notare che la troppo rigida affermazione di un dovere di verità comporterebbe l’onere della parte di confessare fatti alla stessa sfavorevoli, mettendo in crisi i criteri di riparto dell’onere probatorio di cui all’articolo 2697 del codice civile[12]. Tutto ciò non toglie che, pur nel rispetto delle normali esigenze difensive, l’attività del legale debba essere, in ogni caso e il più possibile, improntata al rispetto della realtà dei fatti. Contrasterebbe, infatti, con l‟articolo 88 del codice di rito civile e con il citato articolo 14 del codice di deontologia forense, oltreché con lo stesso necessario decoro professionale, quella difesa che chiedesse, inaudita altera parte, provvedimenti fondati su fatti inesistenti o dichiarasse falsamente che il proprio cliente è deceduto, al solo fine di interrompere il processo ex articolo 300 c.p.c.[13].
2. Il rapporto dell’avvocato con i clienti, i testimoni, i magistrati e i terzi.
Da tali principi discendono le regole che presiedono ai rapporti tra il legale e il cliente, la controparte, i testimoni e i magistrati.
Nei riguardi della parte assistita, entrano in gioco i richiamati doveri di diligenza e fedeltà. La necessaria tutela della dignità del professionista impone, poi, un bilanciamento dei principi a garanzia della parte con l’autonomia delle scelte del legale, sia all’interno del processo, che nell’ambito stragiudiziale[14].
Dalla fiducia che deve improntare i rapporti tra legale e cliente discende la reciproca dedizione dell’uno all’altro, nonché la fedeltà e lealtà di comportamenti.[15]
Per tali motivi, è espressamente prescritta, dal codice di deontologia forense, l’assoluta estraneità del legale rispetto alla lite, che deve sempre rimanere cosa della parte, a garanzia di una più efficace difesa tecnica e di una maggiore professionalità. In quest’ottica si spiega anche il divieto, imposto all’avvocato, di intrattenere con l’assistito rapporti di carattere economico o commerciale, estranei al mandato professionale.
Tutto ciò vale, evidentemente, a fortiori, ove ricorra un’ipotesi di conflitto d’interessi[16]. Poiché una situazione siffatta non fornisce sufficiente garanzia di una sostanziale ed effettiva difesa, comportando una possibile mancata assistenza della parte, è previsto, in capo al legale, un obbligo espresso di astensione. Tanto è rigoroso il divieto di accettazione del mandato, o il dovere della sua immediata dismissione, che una responsabilità disciplinare è destinata a ricorrere anche nel caso in cui l’espletamento di un nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni, ovvero quando la conoscenza degli affari di una parte possa avvantaggiare ingiustamente un altro assistito, o, comunque, in ogni ipotesi di conflitto non solo reale, ma anche meramente virtuale[17].
Centrale importanza assume, poi, l’obbligo di informazione del cliente[18], che costituisce un adempimento formale atto a rendere edotto il medesimo dell’attività svolta dal legale.
E’ quest’ultimo che deve fornire ampie ed esaurienti informazioni alla parte, sia all’atto dell’assunzione dell’incarico, con specifico riguardo alle caratteristiche e all’importanza della controversia, nonché – alla luce del recente d.lgs. n. 28/2010[19] – della facoltà o dell’obbligo di esperire il tentativo di mediazione, sia nel corso dell’espletamento del mandato, ove l’avvocato lo reputi opportuno e ogni qualvolta l’assistito ne faccia richiesta[20].
Dall’obbligo di informazione, che deve essere, evidentemente, adempiuto, secondo verità, discende l’ulteriore dovere di comunicare alla parte le previsioni di massima, inerenti alla possibile durata e ai costi presumibili del processo e di comunicare al cliente la necessità del compimento di atti funzionali ad evitare prescrizioni, decadenze od altri effetti pregiudizievoli di sorta[21].
L’obbligo anzidetto si estende, poi, quanto a contenuto, anche al momento di cessazione del rapporto col cliente, successivo alla rinunzia al mandato da parte del legale[22]. Se, infatti, nell’autonomia del professionista rientra, non solo la libertà di accettare, o no, l’incarico o di compiere questa o quella scelta in sede processuale e stragiudiziale, ma anche il diritto di rinunciare, in ogni caso e in ogni tempo, al mandato, ciò non può avvenire con modalità pregiudizievoli per la parte e deve trovare, nell’obbligo di informativa, un necessario temperamento[23]. Deve essere, anzitutto, dato alla parte assistita un preavviso adeguato alle circostanze; sussiste, poi, in capo al legale, un obbligo di informativa della medesima parte circa gli adempimenti finalizzati a non recare pregiudizio alla difesa. Vi è, poi, l‟ulteriore dovere del professionista di informare la stessa parte su qualsivoglia comunicazione che riguardi quest’ultima e gli sia pervenuta dopo il venir meno del mandato[24].
Garanzie del cliente e decoro della funzione trovano, infine, un momento di potenziale conflitto nell’ipotesi della testimonianza dell’avvocato[25].
In tale caso, infatti, ancorchè l’eventuale deposizione astrattamente risponda all’interesse del cliente, e anche in presenza di una richiesta espressa di quest’ultima, è la protezione del munus difensivo che obbliga il legale all’astensione dal testimoniare. Solo in tal modo è dato mantenere la funzione del professionista realmente estranea alla lite e si preserva insieme alla riservatezza e segretezza, il decoro dell’ordine.
Coerente con quanto detto è l’ulteriore previsione, operata dal codice di deontologia forense, secondo la quale nel caso che l’avvocato intenda, comunque, deporre, egli è tenuto alla dismissione del mandato, perdendo, comunque, la possibilità di riassumerlo.
L’avvocato è tenuto altresì ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli, quando lo reputi opportuno e ogni qualvolta l’assistito ne faccia richiesta”.

 

Se così non fosse, verrebbe a crearsi un‟indebita e poco commendevole confusione tra il ruolo soggettivo di difesa e la funzione oggettiva di testimonianza[26].
Al principio di estraneità della lite del patrono si ispira anche la disciplina che regola i rapporti con i testi chiamati a deporre.
Sono i doveri di probità, dignità e decoro ad obbligare l’avvocato ad una totale e netta astensione dall’intrattenersi sulle circostanze oggetto del procedimento in corso, con forzature o suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti[27].
Ancorchè le recenti novelle del processo penale abbiano previsto la facoltà del difensore di condurre le indagini[28] e sia, in ogni caso, necessario mitigare il rigore dell’articolo 52 codice di deontologia forense con il principio della domanda e della disponibilità della prova, restano in vita, e pienamente operativi, i principi di lealtà e correttezza, unitamente agli specifici canoni concernenti il tema delle investigazioni difensive[29].
In ogni caso, il campo in cui sulla difesa del cliente prevale, sempre, la difesa della professione è quello dei rapporti con i magistrati, gli arbitri ed i terzi.
“I rapporti con i magistrati devono essere improntati alla dignità e al rispetto quali si convengono alle reciproche funzioni”[30].

 

Come chiaramente si desume dall’articolo 53 del codice di deontologia forense, l’interesse o le richieste delle parti, come qualsivoglia esigenza difensiva, non possono certo giustificare la lesione del decoro professionale che, nei rapporti con i magistrati, deve essere osservato.

 

Le nobili funzioni svolte dall’avvocato e dai magistrati impongono il massimo rispetto reciproco, evitando ogni forma di prevaricazione, critica, disappunto, fastidio, o insufficienza[31]. Non basta, come è evidente che non vengano attuate le fattispecie criminose di frode processuale o di millantato credito[32]: al contrario ogni singolo comportamento e gesto deve essere ispirato a correttezza e lealtà; ogni espressione deve essere improntata a quel rispetto dei ruoli che è fedeltà per tutto l‟Ordinamento della giustizia.
Così, è la stessa salvaguardia del decoro del suo ministero che vieta al legale di discutere del giudizio civile in corso con il giudice designato senza la presenza dell’avvocato della controparte. Confidenze eccessive o interventi diretti e personali, funzionali a discutere della pendente controversia, devono essere – ove manchi la parte avversa – opportunamente evitati, proprio al fine di mantenere quel distacco istituzionale che deve esistere tra l‟avvocato e il giudicante.
Correttezza del legale e salvaguardia dell’imparzialità di chi giudica giocano, un ruolo importante nei rapporti con gli arbitri. Essendo stato il prodotto della loro opera (lodo) – a fortiori dopo la novella del 2006, in particolare sulla base del testo dell’art. 824 bis del codice di rito civile – equiparato alla decisione dei giudici (sentenza) e dovendo il procedimento arbitrale seguire i canoni del processo dovuto di cui all’articolo 111 della Costituzione, sta all’avvocato evitare collusioni con l’arbitro, dovendogli lo stesso rispetto che deve al magistrato.
Anche nella individuazione e nomina di un arbitro di parte[33] è, dunque, necessario seguire dette avvertenze, evitando l’indicazione di arbitri nei confronti dei quali vi siano rapporti di consuetudine troppo stretti.[34]

 

La medesima correttezza dei rapporti deve essere mantenuta nei confronti del consulente tecnico d’ufficio nel processo civile, del perito d’ufficio in quello penale, così come nei riguardi di tutti gli altri soggetti coinvolti nel giudizio o interessati al suo esito[35].
Più in generale, l‟avvocato ha il dovere di rivolgersi con correttezza e rispetto nei confronti di tutte le persone con cui venga in contatto nell’esercizio della professione.[36]
Quanto il decoro e la probità attengano all’essere del legale, e non solo al suo agire in sede giudiziale o stragiudiziale, si desume dalla proiezione degli obblighi anzidetti anche al di fuori dell’espletamento dei mandati professionale. In ogni rapporto interpersonale, indipendentemente dalla persona con cui intercorra, il contegno del legale deve essere sempre ispirato alla necessaria salvaguardia della dignità della professione. Questa è, in qualche modo, un tutt’uno con la persona che la esercita.

3. La mediazione delle controversie civili, il cd. patto di quota lite e le nuove funzioni dell’avvocato. La deontologia forense fra tradizione e innovazione.
Principi e regole che ne danno attuazione subiscono, oggi, una sorta di messa alla prova con le novità concernenti la nuova mediazione delle controversie civili e il cosiddetto patto di quota lite, oltreché con il rinnovamento, che è dei tempi, delle funzioni cui è preposto il legale.
Particolari novità scaturiscono dalla mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali.

Il d.lgs. n. 28/2010[37] ha, infatti, introdotto, quale condizione di procedibilità delle liti in numerose materie civilistiche[38], l‟esperimento di un tentativo – oggi, per lo più, obbligatorio[39] – di mediazione avanti ad organismi iscritti in un apposito albo.
L’avvocato, da tutore, per antonomasia, degli interessi di una parte, può, dunque, assumere il ruolo di “terzo”, fornendo, in sede di mediazione obbligatoria, una prima valutazione sulla vertenza che gli sia stata sottoposta. Quanto la sua funzione anticipi, e – almeno in parte – si sovrapponga a quella del giudice lo si può desumere dalla peculiare valenza del verbale di mancata conciliazione, rilevante, non solo ai fini degli argomenti di prova desumibili dal giudice dalla mancata partecipazione della parte, ma anche e soprattutto nella prospettiva della decisione sulle spese processuali[40].

 

Nuove sfide per la professione forense discendono, poi, dal cosiddetto patto di quota lite, per cui si intende – come è noto – quel contratto, stipulato tra avvocato e cliente, con il quale questi ultimi prevedono che al primo spetterà, quale compenso per l’opera svolta, una percentuale del bene controverso o del suo valore.
Se l’articolo 2233 del codice civile espressamente vietava l’ammissibilità del patto anzidetto[41] e lo speculare articolo 45 del codice di deontologia forense prevedeva – ove lo stesso fosse stato posto in essere – una vera e propria responsabilità disciplinare in capo al legale[42], l’articolo 2, comma 2-bis, del D.L. n. 233/2006[43] ha espunto ogni divieto, sancendo la facoltà del professionista di pattuire un compenso parametrato al raggiungimento degli obiettivi perseguiti.
Sono, dunque, del tutto cadute le ragioni che sottostavano alla tradizionale inammissibilità del patto di quota lite – ragioni evidentemente ascrivibili ai principi di dignità e decoro della professione legale. Si riteneva, infatti, che legare il compenso agli esiti della lite avrebbe inciso sullo stesso munus del professionista, che, nella predeterminazione delle tariffe, trovava un’evidente garanzia.
Le istanze comunitarie ed internazionali hanno, poi, inciso e, ad oggi, incidono, sulle tradizionali funzioni dell’avvocato. L‟affermarsi delle cd. Alternative Dispute resolutions rende l’avvocato – analogamente a quanto visto in tema di mediazione – anche arbitro rispetto alla lite[44]; inoltre, la lotta contro il riciclaggio e l’evasione fiscale conferiscono al legale funzioni di carattere pubblicistico, in precedenza del tutto impensabili; l’espansione delle frontiere del mercato rende la professione sempre più simile ad una attività di impresa.
Non è, tuttavia, caduto l‟impianto del codice deontologico, restando, a tutt’oggi, operativi i principi cardine di probità, dignità, decoro, lealtà, correttezza, fedeltà, con tutti i loro corollari in seno ai rapporti con i clienti, i giudici, i terzi.
A dimostrarlo è lo stesso assetto del d.lgs. n. 28/2010, che, pur ampliando, da una parte, le funzioni del legale, introduce, dall’altra, nuovi obblighi, appieno inquadrabili nella cornice dei richiamati principi.

Primo fra tutti, è il cosiddetto obbligo di informativa sulla possibilità di adire un organismo di mediazione anteriormente all’introduzione del giudizio[45]. L‟articolo 4 del d.lgs. n. 28/2010 prevede, infatti, a carico dell’avvocato, l’obbligo di informare il proprio assistito, all’atto del conferimento dell’incarico, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione e delle annesse agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20 del citato decreto[46]. L’informativa deve essere fornita in modo chiaro e per iscritto[47]; il documento che la contiene deve essere, poi, allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio[48]. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1, d.lgs. cit., deve informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione.
Se, poi, il disposto prevede, quale sanzione per l‟omesso adempimento degli obblighi, l‟annullabilità del contratto di patrocinio, ciò non è per il legislatore il segno di una sorta di sfiducia verso la classe forense, ma rappresenta un tentativo di promuoverne le funzioni[49], ma – come ricordato in precedenza[50] – questa misura sembra essere troppo drastica. Tutto ciò dimostra, insomma, l‟importanza che ancora rivestono, nell’attività del legale, i principi di deontologia forense[51].
Più in generale, tuttora, “scopo e missione dell’istituzione dell’Ordine degli avvocati(…) è tutelare il decoro, la dignità e l’interesse della classe”[52]: abbracciare le novità che la stessa economia di mercato impone non significa abbandonare la tradizione, ma, piuttosto, arricchirla alla luce delle nuove istanze, anche comunitarie ed internazionali.
4. Conclusioni.
Che l’avvocato sia chiamato a svolgere, di volta in volta, funzioni di “mediatore”, “conciliatore‟ o di “arbitro‟ non significa che questi possa liberarsi della funzione difensiva che gli è propria, né possa esimersi dall’obbligo di informativa o dal dovere di riservatezza. Che debba assumere funzioni di natura pubblicistica nella lotta contro il riciclaggio del denaro e l’evasione fiscale non equivale a dire che possa venir meno al segreto professionale nei confronti del cliente che gli ha conferito il mandato. E, parimenti, se è vero che la professione forense ha assunto una dimensione non più solo nazionale, ma comunitaria o “globale”, ciò non giustifica l’assimilazione della libertà professionale alla libertà di impresa, né la sostituzione delle regole del mercato a quelle deontologiche.
Così, se sempre più diffusa, nella collettività, è l‟immagine triste di un’avvocatura “mercificata” e di un avvocato “mercante del diritto”, che “fomenta le cause (…)ingannando i clienti e dando le lor ragioni in mano agli avversari”[53], questo deve imporre ai legali una migliore salvaguardia dei diritti ed interessi dei loro assistiti per restituire alla professione legale il prestigio ed il decoro che essa merita. L’adeguamento ai tempi che cambiano non può avere, come prezzo, lo snaturamento di un’identità professionale, che deve, invece, essere rilanciata, a pieno, da una rinnovata consapevolezza dei nuovi compiti, che devono essere svolti nella totale rispondenza all’unico compito, sempre uguale a se stesso, della tutela del diritto, nella applicazione della Giustizia, così come chiede l’articolo 24 della Costituzione.



[1] Si veda, anzitutto, l‟opera di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Degli obblighi de’ giudici, avvocati, accusatori e rei, ora nella edizione Sellerio, Palermo, 1998 e, ancor prima quella di San Tommaso, Summa Theologiae, II-II, 71-3, i quali hanno dettato le regole fondamentali cui deve ispirarsi la professione di avvocato.

[2] 2 Si riprende la nozione che di deontologia forense fornisce C. Lega, Deontologia forense, Milano, 1975, 1. Per alcune riflessioni più recenti, può utilmente consultarsi C. Sartea, L’emergenza deontologica, Roma, 2007 e M. La Torre, Il giudice, l’avvocato e il concetto di diritto, Rubbettino ed., 2002.

[3]  In quest’ottica, si vedano gli importanti testi di R. Danovi, Corso di ordinamento forense e deontologia, Milano, 2003; Id., Commentario del codice deontologico forense, Milano, 2003; G. Alpa – R. Danovi, Un progetto di ricerca sulla storia dell’avvocatura, Bologna, 2003; G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, Milano, 2007. Cfr. anche P. Gianniti, Principi di deontologia forense, Padova, 1992.

[4]  Evidentemente, a condizione che il contegno privato divenga rilevante all‟esterno, al punto da compromettere, insieme all‟attività professionale dell’avvocato, la stessa immagine della classe forense. Si veda, in particolare, l‟importante Cass., sez. un., 24 agosto 1999, n. 597, in Giust. civ., Mass. 1999, 1830, per cui il contegno non conforme alla dignità e al decoro professionale va riferito ad ogni aspetto della vita di relazione del professionista, e quindi anche ai comportamenti che sono estranei rispetto all‟esercizio dell‟attività legale, purché siano tali da ledere il comune sentimento della collettività.

[5]  Si confronti, in merito, la significativa deliberazione del Consiglio dell‟Ordine degli Avvocati di Roma del 24 ottobre 1991, n. 74, in Foro romano, 1992, 95 e 229, per cui “è censurabile in quanto idoneo a compromettere il decoro e la dignità dell‟appartenente all‟ordine il comportamento del professionista che si qualifichi come avvocato e, unitamente a numerose persone, entri in una farmacia e pretenda la consegna gratuita dei medicinali. Detto comportamento è, però, esente da censura allorché il professionista abbia compiuto gli stessi fatti senza qualificarsi avvocato e in difesa di interessi di indubbia rilevanza sociale quale rappresentante di una associazione costituita in difesa dei consumatori”.

[6] Ricorda Piero Calamandrei, nel suo logio dei giudici (scritto da un avvocato), del 1935 (oggi in edizione Ponte Alle Grazie, Milano, ristampa del 2008, 4, con prefazione di A. Barile) che “per trovare la purezza in Tribunale, bisogna entrarci con animo puro, mantenendolo in ogni attività che in esso si svolge”.

[7] Lo dimostrano le note Consiglio nazionale Forense del 20 maggio 1991, in Rass. forense, 1994, 129 (caso dell‟avvocato che, pur avendo assistito prima la parte civile in un processo penale, abbia poi assunto la difesa dell‟imputato) o Consiglio naz. Forense, 5 novembre 1996, n. 146, in Rass. forense, 1997, 542 (fattispecie del legale che abbia fatto sottoscrivere al proprio cliente uno svantaggiosissimo contratto di mutuo in favore di una società in cui egli era socio fittizio).

[8] Si veda l’articolo 12 del codice di deontologia forense, che impone di accettare i soli incarichi che l’avvocato possa espletare con adeguata competenza.

[9] Sulla formazione permanente, quale obbligo di mantenere un livello di preparazione adeguato e proporzionale alle funzioni espletate, cfr. Cass., 1 febbraio 2010, n. 2235, in www.foroeuropeo.it.

[10] In argomento, L. Del Paggio, Il codice in materia di protezione dei dati personali e la pubblicazione degli albi professionali, in Rass. forense, 2004, 315 e G. Guerrini, Il testo unico sulla privacy e gli adempimenti degli studi legali, ivi, 204.

[11]Va segnalato che la dottrina maggioritaria si mostra contraria all’esistenza di un dovere di verità. Si vedano, in merito, G. Scarselli, Lealtà e probità nel compimento degli atti processuali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, 91; A. Attardi, Diritto processuale civile, Padova, 1994, 370; F. Mazzarella, voce Avvocati e procuratori, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, IV; G. Messuti, Silenzio della parte e dolo revocatorio, in Riv. dir. proc., 1984, 621. In senso contrario, si confrontino, tuttavia, M. Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, Milano, 1972; C. Marchetti, Dolo revocatorio e falsa allegazione, in Riv. dir. proc., 1960, 418 e già C. Satter, Dovere di verità e diritto di disposizione delle parti nel nuovo processo civile italiano, in Ann. Dir. comp., 1943, XVII, 1.

[12] Nello stesso senso, G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, cit., 293.

[13] Conformemente, P. Gianniti, Principi di deontologia forense, cit., 171,ed, inoltre, R. Danovi, Commentario del codice deontologico forense, cit., 168.

[14]  In questo senso, R. Danovi, Commentario del codice deontologico forense, cit., sub articolo 35, passim.

[15] Cfr., in merito, Cons. naz. Forense, 30 dicembre 1997, n. 166, in Rass. forense, 1998, 374.

[16]  V. l‟articolo 37 del codice di deontologia forense. “L’avvocato ha l’obbligo di astenersi dal prestare attività professionale quando questa determini un conflitto con gli interessi di un proprio assistito o interferisca con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.

I. Sussiste conflitto di interessi anche nel caso in cui l’espletamento di un nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altro assistito, ovvero quando la conoscenza degli affari di una parte possa avvantaggiare ingiustamente un altro assistito, ovvero quando lo svolgimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento di un nuovo incarico.
II. . L’obbligo di astensione opera altresì se le parti aventi interessi configgenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali
”.

[17] In questo senso, si veda la recente ed assai significativa Cass., sez. un., 18 dicembre 2007, n. 26631, in Foro it. 2009, 1902.

[18] Si veda l‟articolo 40 c. 1 del codice di deontologia forense, per cui “L’avvocato è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione possibili. L’avvocato è tenuto altresì ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli, quando lo reputi opportuno e ogni qualvolta l’assistito ne faccia richiesta”.

[19] D.lgs.4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali. Si veda anche il successivo D.M. 18 ottobre 2010, n. 180, che ha fissato criteri e modalità di tenuta del registro degli organismi di mediazione. Per più ampi rilievi sul nuovo atteggiarsi dell‟obbligo di informativa, v. amplius infra.

[20] Cfr. il testo dell‟articolo 185 c.p.c. e quello dell‟art. 350 c.p.c.

[21] In argomento, si veda G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense, cit., 288.

[22] Cfr. l‟articolo 47 del codice di deontologia forense, per cui “l’avvocato è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione possibili.

[23] Profili deontologici a parte, è altresì, sul piano civilistico, necessario il ricorrere di una giusta causa ex articolo 2237.  E’, invece, come è noto, libero il recesso del cliente.

[24] Vedi, in particolare, il dettato dell’articolo 330 del codice di rito civile, che prescrive come la notificazione di una impugnazione avvenga presso il domicilio eletto nello studio del legale che ha patrocinato il giudizio di primo grado, dando vita ad una sorta di proroga ex lege dei poteri conferiti al difensore con la procura. Cfr. Cass. 28 novembre 1998, n. 12.102, in Giust. civ., Mass. 1998, 2486.

[25] Si veda l‟articolo 58 del codice di deontologia forense, per cui “per quanto possibile, l’avvocato deve astenersi dal deporre come testimone su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e inerenti al mandato ricevuto” e che ancora prevede che “qualora l’avvocato intenda presentarsi come testimone dovrà rinunciare al mandato e non potrà riassumerlo”.

[26] Si veda R. Danovi, Commentario del codice deontologico forense, cit., sub articolo 58, passim. Si veda, sul tema, anche l‟importante pronuncia Consiglio naz. Forense, 1 ottobre 1996, n. 115, in Rass. forense, 1997, 239.

[27] i veda l’articolo 52 del codice di deontologia, per cui “l’avvocato deve evitare di intrattenersi con i testimoni sulle circostanze oggetto dei procedimento con forzature o suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti”.

[28] Cfr. la l. 7 dicembre 2000, n. 397, in G.U. 31 gennaio 2001, n. 2.

[29]  Cfr. ancora l‟articolo 52 codice di deontologia forense. In argomento, C. Lega, Deontologia forense, cit. e P. Gianniti, Principi di deontologia forense, cit., passim.

[30]  Si veda l‟articolo 53 codice di deontologia forense.

[31] Si rinvia, sul tema, alla notevole analisi di C. Sartea, L’emergenza deontologica, cit., passim.

[32] Cfr. gli articoli 374 e 382 del codice penale.

[33]  L‟articolo 55 del codice di deontologia, modificato nel 2006, prescrive: “L’avvocato chiamato a svolgere la funzione di arbitro è tenuto ad improntare il proprio comportamento a probità e correttezza e a vigilare che il procedimento si svolga con imparzialità e indipendenza.

I. L’avvocato non può accettare la nomina quando abbia in corso rapporti professionali con una della parti.

II. L’avvocato non può accettare la nomina ad arbitro se una della parti del procedimento sia assistita da altro professionista di lui socio o con lui associato, ovvero che eserciti negli stessi locali.

In ogni caso l’avvocato deve comunicare alle parti ogni circostanza di fatto e ogni rapporto con i difensori che possano incidere sulla sua indipendenza, al fine di ottenere il consenso delle parti stesse all’espletamento dell’incarico.

III. L’avvocato che sia stato richiesto di svolgere la funzione di arbitro deve dichiarare per iscritto, nell’accettare l’incarico, l’inesistenza di ragioni ostative all’assunzione della veste di arbitro o comunque di relazioni di tipo professionale, commerciale, economico, familiare o personale con una della parti. Diversamente, deve specificare dette ragioni ostative, la natura e il tipo di tali relazioni e può accettare l’incarico solo se le parti non si oppongano entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione

IV. L’avvocato che viene designato arbitro deve comportarsi nel corso del procedimento in modo da preservare la fiducia in lui riposta dalle parti e deve rimanere immune da influenze e condizionamenti esterni di qualunque tipo.

Egli inoltre:

–           ha il dovere di mantenere la riservatezza sui fatti di cui venga a conoscenza in ragione del procedimento arbitrale;

–           non deve fornire notizie su questioni attinenti al procedimento;

–           non deve rendere nota la decisione prima che questa sia formalmente comunicata a tutte le parti.”.

 

[34] Al riguardo, vedi anche il novellato art. 815 c.pc. In dottrina, vedi per tutti, C. Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, tomo I, 335.

[35] Lo stesso principio deve ritenersi applicabile ai consulenti tecnici di parte. In questo senso, correttamente, R. Danovi, Commentario del codice deontologico forense, cit., sub articolo 54.

[36] Si veda l‟articolo 56 del codice di deontologia forense “L’avvocato ha il dovere di rivolgersi con correttezza e con rispetto nei confronti del personale ausiliario di giustizia, del propro personale dipendente e di tutte le persone in genere con cui venga in contatto nell’esercizio della professione. Anche al di fuori dell’esercizio della professione l’avvocato ha il dovere di comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la fiducia che i terzi debbono avere nella sua capacità di adempiere i doveri professionali e nella dignità della professione”.

[37]  Su cui si veda, anche per i riferimenti bibliografici, C. Besso (a cura di), La mediazione civile e commerciale, Torino, 2010, oltre a P. Sandulli La mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, in A. Didone (a cura di), Il processo civile competitivo, Torino, 2010, 979, e agli ulteriori testi citati infra. Sui principi sottostanti il dettato normativo, cfr. C. Punzi, Mediazione e conciliazione, in Riv. dir. proc., 2009, 845.

[38] In argomento, M. Fabiani, Profili critici del rapporto fra mediazione e processo, in Società, 2010, 1142.

[39] Come è noto, dal 21 marzo 2011, per le seguenti materie (v. art. 5, d.lgs. n. 28/2010): diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Il cd. “Decreto milleproroghe” ha sancito il rinvio dell’entrata in vigore della mediazione obbligatoria solo per le controversie aventi ad oggetto i sinistri stradali e le liti condominiali differite al 21 marzo 2012.

[40] Sul tema, e sulla possibile incostituzionalità, in parte qua, della nuova normativa, cfr. G. Scarselli, L’incostituzionalità della mediazione di cui di cui al d.lgs. 28/10, in Foro it., 2011, V, 54; Vedi, al riguardo, l‟ordinanza della prima sezione del TAR del Lazio n. 3211 del 12.4.2011, che ha trasmesso alla Corte costituzionale la normativa sulla media conciliazione per verificare la costituzionalità del regolamento n. 180 del 2010 e del decreto legislativo n. 28 del 2010, con particolare riferimento al ruolo dell‟Avvocato ed a quello degli organismi di conciliazione (vedila in: www.foroeuropeo.it).

[41] Disponendo che “gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni”.

[42] Anche il Consiglio Nazionale Forense ha avuto modo di pronunciarsi sul divieto del patto di quota lite, ritenendo che “pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante e rientrante nel c.d. patto di quota lite l’avvocato che concordi con il cliente il compenso in una percentuale dell’importo percepito in risarcimento, a nulla rilevando, che il compenso così stabilito sia stato riscosso oppure no, essendo sufficiente, ai fini della responsabilità disciplinare, la sussistenza dell’intervenuta pattuizione” (Cons. Naz. Forense 30-11-2005, n. 138).

[43] D.L. 4 luglio 2006, n. 233 (cd. “Decreto Bersani”), definitivamente convertito dalla Legge n. 248 del 4 agosto 2006, ha modificato l‟art. 2233, c. 3, del codice civile.

[44] Sul tema, si vedano G. Armone – P. Porreca, La mediazione civile nel sistema costituzional-comunitario, in Foro it., 2010, V, 372, nonché R. Caponi, La conciliazione stragiudiziale come metodo di A.d.R. (“Alternative dispute resolution”), ivi, 2003, V, 165.

[45] In argomento, G. Trisorio Liuzzi, La nuova disciplina della mediazione. Gli obblighi informativi dell’avvocato, in Giusto proc. civ., 2010, 979 e U. Perfetti, Mediazione e conciliazione. Aspetti sostanziali e deontologici, in Rass. for., 2010, 23.

[46] Si veda il citato articolo 4, al terzo comma, per cui: “all’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

[47] E‟, pertanto, buona norma integrare il contenuto della procura alle liti, relativa al successivo giudizio, con l‟indicazione della presa d‟atto, da parte del cliente, dell‟avvenuta informativa.

[48] Tale allegazione, anche se motivata dall‟esigenza di funzionalità del sistema, che vede nella conciliazione
uno strumento di natura deflativa, appare, però, misura troppo drastica non idonea ad essere in linea con il rapporto fiduciario che deve esistere tra giudice e difensore.

[49] La scelta della sanzione dell‟annullabilità costituisce, infatti, un punto di incontro tra la tutela delle parti e le guarentigie dei legali. Era, invece, del tutto criticabile la precedente opzione del legislatore per la più forte nullità, che – come da principi generali – sarebbe stata invocabile, non dalla sola parte, ma da ogni terzo che ne avesse avuto interesse.

[50] In particolare vedi la precedente nota 47.

[51]  Cfr. anche gli articoli 9 e 10 del citato d.lgs. n. 28/2010, che rispettivamente disciplinano il dovere di riservatezza e il segreto professionale del legale.

[52] In questo senso, G. Alpa, L’avvocato. I nuovi volti della professione forense, Bologna, 2005.

[53] Magistrale ed anticipatrice è, in questo senso, l‟opera di T. Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, 1585.

 

Piero Sandulli

Docente universitario di ruolo, in quanto vincitore di concorso di professore universitario.
Ha retto la cattedra di Diritto Processuale Generale nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di Cassino, la Cattedra di Diritto Processuale Civile nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di Cassino e titolare dell'insegnamento del Diritto processuale civile e del Diritto fallimentare presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università di Macerata, dove è stato incaricato anche dell'insegnamento del Diritto processuale del lavoro.
Dal 2004-2005 è titolare della cattedra di Diritto Processuale Civile dell'Università di Teramo. Dall'anno accademico 2006-2007 è investito anche dell'insegnamento del Diritto fallimentare e dall'anno accademico 2009-2010 dell'insegnamento della Giustizia Sportiva.
E' membro dell'Associazione tra gli Studiosi del Processo Civile, nonché dell'Istituto di Studi sull'arbitrato (I.S.S.A.).
Dal 1979 al 1984, ha insegnato la Giustizia Amministrativa presso l'Accademia della Guardia di Finanza.E' stato incaricato dell'insegnamento del Diritto processuale tributario presso la Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza nell'anno accademico 1984-85, nonchè
docente di Giustizia Amministrativa presso la Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza e di Diritto Processuale Civile presso la scuola di specializzazione della Regione Lazio "Arturo Carlo Jemolo".
Ha insegnato Diritto dell'informazione e della comunicazione, presso l'Università San Tommaso d'Aquino di Roma. E' docente di Diritto Processuale Civile presso la Scuola delle professioni legali, nonchè di Diritto Processuale Civile presso la Scuola delle professioni legali dell'Università di Teramo.
E' titolare dell'insegnamento di Diritto Processuale del Lavoro nel master di perfezionamento istituito dalla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza"; nonché presso l'Università Europea di Roma.
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E' stato componente della Commissione ministeriale, presso il Ministero della Funzione Pubblica, per la riforma delle Autorità indipendenti e delle Agenzie; nonchè della Commissione ministeriale, presso il Ministero della Funzione Pubblica, per l'espletamento della delega relativa alla Revisione della legge sulla riservatezza.
E' stato componente della Commissione per la Semplificazione delle procedure relative al commercio, industria ed artigianato presso la Regione Lazio.
E' stato consulente giuridico dell'Assessore della Provincia di Roma alla Viabilità ed alla Protezione Civile.
Dal mese di febbraio dell'anno 2001 al febbraio 2004 è stato componente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma, nell'ambito del quale ha ricoperto l'incarico di direttore della Scuola Forense "Vittorio Emanuele Orlando", per la formazione professionale, della quale è ancora docente.
Il 4 luglio 2006 è stato eletto dal Parlamento, a camere riunite, giudice costituzionale aggiunto, a norma dell'ultimo comma dell'art. 135 Cost.
Con decreto del Ministro per i beni culturali del 21/6/2007 è stato nominato Presidente della Commissione per la Censura cinematografica.
Dal 1993 al 1996 è stato prima componente e poi Presidente della Commissione Carte Federali della Lega Nazionale Dilettanti.
Nel 1997 è stato Presidente della Commissione Carte Federali della F.I.G.C.
Dal 1997 al 30 giugno 2007 è stato componente della Corte Federale della Federcalcio di cui è divenuto Vice presidente nel 2002.
Nel mese di luglio del 2006 ha presieduto la Corte Federale nei giudizi che hanno riguardato le squadre della Juventus, del Milan, della Fiorentina, della Lazio, della Reggina e dell'Arezzo.
Dal 2007 è stato nominato Presidente della Seconda Sezione della Corte di giustizia federale della Federcalcio, nuovo organismo di vertice della Giustizia sportiva nella F.I.G.C.
Dal 2001 è componente della Corte Federale della Federnuoto.