Con sentenza n°22574 del 2016, la II^ sezione della Suprema Corte di Cassazione ritorna sull’annosa questione della c.d. “parcellizzazione del credito” derivante da un unico rapporto obbligatorio, distinguendo i casi in cui la stessa integri o meno un illegittimo abuso del processo.
La vicenda de quo trae origine da due ricorsi, l’uno sommario e l’altro ordinario, con cui degli avvocati avevano convenuto in giudizio la Regione Calabria al fine di ottenere il pagamento non solo del compenso fisso, convenuto con apposita convenzione del 2002, ma, altresì, dell’ulteriore compenso premiale pattuito oltre ad un compenso aggiuntivo, pari alla differenza tra quello convenuto e quello determinato dalle tariffe professionali. I ricorrenti, una volta ottenuto decreto ingiuntivo di pagamento per il solo compenso pattuito, inutilmente opposto dalla Regione Calabria, presentavano separato ricorso ordinario per gli ulteriori compensi, adducendo in particolare l’illegittimità del compenso fisso pattuito in quanto inferiore ai minimi previsti dalle tariffe professionali illo tempore vigenti.
Il Tribunale di Catanzaro, prima, e la Corte d’Appello, poi, dichiaravano improponibile, tuttavia, la suddetta domanda “…sul presupposto dell’infrazionabilità in sede processuale del credito derivante dal medesimo titolo”.
I colleghi tenacemente presentavano ricorso per cassazione eccependo la correttezza, legittimità e doverosità della scelta operata avendo gli stessi richiesto l’emissione di decreto ingiuntivo per quel compenso caratterizzato dai requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità, ricorrendo, di contro, al rito ordinario sia per l’ulteriore compenso variabile, privo dei predetti caratteri, che per la declaratoria di nullità del compenso fisso pattuito in misura inferiore ai minimi tariffari.
La Suprema Corte, investita della questione, ripercorre preliminarmente la propria giurisprudenza, partendo da due pronunce delle Sezioni Unite, con cui le stesse avevano statuito che:
- “…non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del “giusto processo”, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale” (SS.UU., sentenza n°23726 del 15/11/2007).
- “in materia di obbligazioni pecuniarie nascenti da un unico rapporto di lavoro, costituisce principio generale la regola secondo la quale la singola obbligazione va adempiuta nella sua interezza e in un’unica soluzione, dovendosi escludere che la stessa possa, anche nell’eventuale fase giudiziaria, essere frazionata dal debitore o dal creditore” (SS.UU., sentenza n°26961 del 22/12/2009).
La Corte, pertanto, dà atto del generale divieto di parcellizzazione processuale del credito derivante da un’unica obbligazione, quale espressione della regola di correttezza e buona fede e del “giusto processo”, con particolare riguardo alla sua “ragionevole durata”, ritenendo, tuttavia chiarire come lo stesso non sia assoluto “…dovendo escludersi il divieto di parcellizzazione della domanda giudiziale allorquando solo per una parte dell’unico credito vi siano le condizioni richieste dalla legge per agire con lo strumento giudiziario più spedito azionato per primo”, richiamando sul punto un precedente analogo al caso di specie, in cui la stessa aveva reputato legittimo il comportamento processuale tenuto da un attore “…che, a tutela di un unico credito dovuto in forza di un unico rapporto obbligatorio, agisca con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e con il procedimento sommario di cognizione per la parte residua” (Cass. Civ.,sez II^ sentenza n°10177 del 18-05-2015).
Sulla scorta di tale motivazione, i giudici di Piazza Cavour, cassano pertanto la sentenza impugnata, cristallizzando i seguenti principi di diritto:
1) “Si ha abuso del processo quando la parte pone in essere un atto processuale non per perseguire lo scopo proprio dell’atto, ma – sviando l’atto dalla sua causa tipica – per perseguire uno scopo diverso da quello per cui l’atto è funzionalmente previsto dalla legge, dando luogo – per questo ad una violazione dei doveri di correttezza e di buona fede, che è tenuta ad osservare”.
2) “Non incorre in abuso del processo l’attore che, a tutela di un credito dovuto in forza di un unico rapporto obbligatorio, agisca prima con ricorso monitorio per la somma provata documentalmente e poi con il procedimento ordinario di cognizione per la parte residua, dovendosi riconoscere il diritto del creditore ad una tutela accelerata mediante decreto ingiuntivo per la parte di credito liquida che sia provata con documentazione sottoscritta dal debitore”.
Cliccare qui per il testo integrale della sentenza: Cassazione civile, sez. II^, sentenza n°22574 del 7 novembre 2016