CHIESTO IL FALLIMENTO DEL TRIBUNALE DI VICENZA

chiuso-per-fallimentoÈ notizia di queste ore che è stata presentata richiesta  di fallimento rivolta contro il Tribunale di Vicenza.

In particolare, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Vicenza, unitamente a diverse associazioni di categoria e con il sostegno del Comune, ha depositato istanza affinché venga acclarato lo stato di decozione del Tribunale.

La misura intrapresa per quanto inusuale e a tratti paradossale testimonia lo stato di assoluto abbandono in cui versa il sistema giustizia e che tutti noi quotidianamente constatiamo (e subiamo).

I Colleghi vicentini lamentano che, il “loro” Tribunale, abbia carenze di organico non più sopportabili, che creano intollerabili ritardi nelle definizioni dei procedimenti pendenti con rinvii delle cause civili persino di cinque anni; in organico vi sarebbe un solo magistrato per le cause di locazione e affitti per tutta la provincia. Il tutto, è aggravato dall’accorpamento delle Sezioni distaccate che crea inevitabilmente maggiore carico ai singoli magistrati; 1.300 fascicoli per ogni magistrato scrivono nell’istanza: “sono intollerabili i ritardi nella definizione dei procedimenti pendenti, con rinvii di udienza che, nelle cause ordinarie, giungono persino a cinque anni. Il dissesto si è andato progressivamente aggravando nel tempo, nonostante l’impegno dei magistrati e del personale amministrativo, il cui numero è peraltro andato gravemente diminuendo”.

Questa notizia si può mettere certamente in correlazione con il provvedimento assunto dal Presidente del Tribunale di Roma. È stato, infatti, deciso con decisione approvata dal C.S.M. che verranno attribuiti un massimo di non più di 10.500 procedimenti a citazione diretta a fronte dei circa 20.000 che ogni anno vengono portati all’attenzione degli Uffici giudiziari penali. Si legge che verrà data preferenza a tutti i reati di competenza collegiale e a quelli di maggiore gravità: ad es., i processi per frodi in commercio, minacce, commercio di prodotti con marchi falsi, danneggiamenti, deturpamenti e altri delitti puniti con pene lievi rimarranno sospesi e messi in coda rispetto ad altri reati di maggiore allarme sociale.

Così che anche la Procura di Roma guidata dal Dott. Giuseppe Pignatone si è adeguata ed ha deciso, per evitare di far rimanere in una sorta di limbo giudiziario migliaia di procedimenti, che verranno inoltrate non più di 12.000 richieste di fissazione udienza secondo un ordine di priorità predeterminato: onde evitare che i procedimenti penali più rilevanti rimangano appunto in questo limbo. Il resto verrà “messo da parte”, in attesa, presso l’ufficio SDAS, Sezione definizione affari seriali: viene specificato che si tratterrà di reati “minori”, quali resistenze a pubblico ufficiale, guida in stato di ebbrezza, i mancati adempimenti degli obblighi derivanti da misure di prevenzione, furti sul banco del supermercato, etc..

Sembra veramente che stiamo assistendo al decadimento del sistema pubblico della giustizia, di cui le circostanze riportate sono una cartina di tornasole: un Tribunale civile con rinvii di udienza che si calcolano in anni e non a giorni/mesi; un Tribunale penale che lascia “in sospeso” procedimenti per reati, seppur minori, a dispetto dell’obbligatorietà dell’azione penale e, forse ancor di più, della certezza che i reati per cui vi è notizia siano, in un modo o nell’altro, accertati e perseguiti. Il sentimento è di sgomento e avvilimento. E tale situazione, come giornalmente constatiamo nella nostra professione, è la medesima nella gran parte dei Tribunali d’Italia.

Viene da pensare che forse lo Stato dovrebbe abdicare dalla propria prerogativa di offrire in esclusiva e senza alternative il “servizio giustizia”.

Non sarà il caso di creare reali sistemi di “giustizia civile privata” (non certo la media-conciliazione di cui al D.M. n. 140/2012), che consentano di definire in tempi brevi e con reale soddisfazione delle parti le vertenze in atto, lasciando ai Tribunali solo ipotesi marginali (da un punto di vista numerico), assumendo magari maggiormente una funzione di controllo sulla legittimità degli accordi così conclusi.

Allo stesso modo si potrebbe prevedere che per certi tipi di reati non sia sempre così “necessario” il carcere ovvero la custodia cautelare in carcere. Si potrebbe “indicare” ai Giudici che alle Case circondariali ci sono alternative che riescono comunque a garantire le esigenze connesse al giudicato penale. Per vero, forse ancor prima di cambiare le norme penali tout court, magari con depenalizzazione o indulti che di fatto tamponano una situazione senza però risolverla, si potrebbe ripensare a quanto sia utile e soprattutto applicabile al sistema Italia l’obbligatorietà dell’azione penale. Forse con un po’ di provocazione ma non troppo, il sistema che vige in altri Paesi (altrettanto civili al pari dell’Italia) circa l’indirizzo politico che può essere dato al potere giudiziario, colmerebbe le lacune e i disservizi presenti (che a volte sono congeniti in un Paese ad alto tasso di criminalità come il nostro). Del resto, il provvedimento della Procura di Roma, circa la “scelta a monte” di privilegiare il perseguimento di certi tipi di reato a discapito di altri, si pone proprio in tale direzione.

Alessandro Romano Carratelli

Avvocato iscritto all’Albo dal gennaio 2005, esercito in proprio la professione forense prevalentemente nella città di Roma. Le materie della mia attività professionale si rivolgono principalmente al campo del contenzioso innanzi alla Giurisdizione Ordinaria, nonché quella Amministrativa e Tributaria, nelle materie del Diritto civile, concorsuale e fallimentare, amministrativo e tributario. Esercito la professione anche quale Curatore Fallimentare nonchè Custode giudiziario e legale delle procedure esecutive immobiliari, iscritto nelle liste del Tribunale di Roma. Professore a contratto in Diritto dei Beni Culturali, già cultore della materia in Diritto Privato presso la Libera Università San Pio V di Roma. Già membro della Commissione Consiliare di Diritto fallimentare e procedure concorsuali dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Sono impegnato nella vita associativa forense e credo fermamente che bisogna avere un ruolo attivo nella richiesta di cambiamento che la nostra Professione ci impone, oggi sempre più vilipesa. Soltanto il contributo diretto di noi Avvocati, mediante una rappresentanza forte ed autorevole, può essere la chiave di volta per raggiungere risultati apprezzabili e duraturi a favore della Nostra categoria. Per questo faccio parte dell’Associazione Forense Emilio Conte, che ho avuto l'onore di presiedere.