Come noto, l’art. 21, comma 8 della legge n. 247/2012 [legge professionale] ha introdotto l’obbligo di iscrizione alla Cassa Forense per tutti gli avvocati iscritti all’albo quando, prima dell’entrata in vigore di detta legge, l’obbligo di iscrizione sussisteva nel momento in cui si superavano i limiti di reddito fissati dall’organo stesso. Tale norma prevede che “l’iscrizione agli albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense” mentre il successivo comma 9 stabilisce che “la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con proprio regolamento, determina, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, i minimi contributivi dovuti nel caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni e l’eventuale applicazione del regime contributivo”.
La Cassa Forense ha dato attuazione ai commi 8 e 9 della legge professionale con proprio Regolamento [Regolamento di attuazione dell’art. 21, commi 8 e 9, legge n. 247/2012 (in G.U. n.192 del 20.8.2014)], il cui art. 7 così recita: «1. I contributi minimi dovuti dagli iscritti, per ogni anno di iscrizione alla Cassa, sono i seguenti: a) Contributo minimo soggettivo: € 2.780,00 per il 2014; b) Contributo minimo integrativo: € 700,00 per il 2014; c) Contributo di maternità: € 151,00 per il 2014. 2. Il contributo soggettivo minimo, di cui al 1° comma, lett. a), è ridotto alla metà per i primi 6 anni di iscrizione alla Cassa, qualora l’iscrizione decorra da data anteriore al compimento del 35° anno di età. Restano invariate le percentuali per il calcolo dei contributi dovuti in autoliquidazione di cui all’art. 2 comma 1, all’art. 3 e all’art. 4 del Regolamento dei contributi. 3. Il contributo minimo integrativo di cui al 1° comma lett. b) non è dovuto per il periodo di praticantato nonché per i primi 5 anni di iscrizione alla Cassa, in costanza di iscrizione all’Albo. Per i successivi 4 anni tale contributo è ridotto alla metà qualora l’iscrizione decorra da data anteriore al compimento del 35° anno di età. E’ comunque dovuto il contributo integrativo nella misura del 4% dell’effettivo volume di affari IVA dichiarato. 4. I contributi minimi di cui al comma 1, lett. a) e b) sono esclusi a partire dall’anno solare successivo a quello della maturazione del diritto a pensione di vecchiaia. Sono comunque dovuti i contributi soggettivo ed integrativo nella misura percentuale prevista dal Regolamento dei contributi nei confronti dei pensionati di vecchiaia che restano iscritti all’Albo degli Avvocati o all’Albo speciale per il patrocinio dinanzi le giurisdizioni superiori. 5. I contributi minimi di cui al comma 1, lett. a) e b), sono annualmente rivalutati con le modalità previste dall’art. 8 del Regolamento dei contributi. Il contributo di maternità di cui al comma 1, lett. c) viene annualmente determinato dal Consiglio di Amministrazione ai sensi del D.lgs. 151/2011, in relazione all’andamento della spesa per indennità di maternità. 6. Entro il 31 dicembre dell’anno successivo all’entrata in vigore del presente Regolamento le agevolazioni per i minimi contributivi di cui al 2° e 3° comma, saranno oggetto di valutazione e verifica da parte del Comitato dei Delegati per la loro eventuale revisione. La relativa delibera è sottoposta all’approvazione dei Ministeri vigilanti».
Dalla lettura del richiamato articolo è agevole comprendere i motivi del malumore che ha investito gran parte degli appartenenti alla categoria: si tratta di un contributo previdenziale, a favore, quindi, della classe, che tuttavia, come contributo ‘minimo’, richiede una quota in gran parte assolutamente sproporzionata rispetto al reddito percepito dal professionista.
Anche allo scopo di dare positivo riscontro alle proteste dilagate nei Consigli dell’Ordine degli Avvocati di tutta Italia, qualcosa sembra muoversi in Commissione Giustizia della Camera.
E’ stato infatti ripreso l’esame di un disegno di legge presentato il 23 settembre 2014 che potrebbe riformare la disciplina, proponendo di spazzare via tanto i contributi minimi alla Cassa quanto l’obbligo di iscrizione.
Per quanto qui rileva, all’articolo 1 del ddl, è prevista l’introduzione di un divieto espresso per la Cassa Forense di richiedere il versamento di contributi minimi obbligatori da parte degli avvocati o altri versamenti che non siano calcolati in misura percentuale rispetto al reddito percepito dagli iscritti.
Anche se è buona norma sociale europea che le imposte vengano pagate in base al reddito, alla notizia qui in commento vi è, tra gli avvocati, chi ha gridato alla ‘bufala’; e questo la dice lunga di quanto siamo tutti poco inclini a credere che qualcosa possa realmente cambiare.
Di vero c’è la protesta degli avvocati, giovani o meno giovani, nei confronti della Cassa forense, accusata di affamare i propri iscritti, tesa solo al perseguimento dei propri interessi personali.
Per l’intanto sembra confermata la “marcia” contro la Cassa prevista per il 21 aprile prossimo.
“Alle ore 11 del 21 Aprile saremo a Roma sotto Cassa Forense e ci uniremo con gli amici di NAD che presidieranno di notte la Cassa.
Chi non viene ha perso. NON LASCIATEVI SOLI”.
Con queste parole, che non hanno certo bisogno di essere spiegate, l´avv. Goffredo D´Antona, del Foro di Catania, ha lanciato la grande sfida alla Cassa Forense. Sotto accusa «gli sprechi di un organo che spende tre milioni l’anno solo per gli organi direttivi», afferma D’Antona, che precisa: «Non si tratta di spese per stipendi di dipendenti, ma di compensi per gli organi politici, per avvocati. Il presidente prende 73mila euro l’anno, il suo vice 56, oltre a 413 euro a titolo di gettone di presenza. Più di una pensione ipotetica. È indecoroso per la toga prendere più di quanto un avvocato avviato guadagna in un anno. Credo che la cassa forense spenda più in stipendi in amministratori di quanto un Comune grande come Catania spenda per emolumenti ad assessori e sindaco».
Seguiranno aggiornamenti.