Care Donne di Agire e Informare,
se non vi foste trincerate dietro l’anonimato di una sigla, avrei gradito rispondervi personalmente.
Non solo a me, ma a tante altre Colleghe è venuto perfino il dubbio che dietro l’anonimato non ci siano esponenti del gentil sesso, perché le donne, notoriamente, “ci mettono la faccia”.
Il “rossore” da cui siete improvvisamente affette, costituisce tipica sintomatologia della vergogna che si deve provare nel ridursi a meri strumenti elettorali in mani altrui.
Ho svolto quattro mandati consecutivi, eletta la prima volta poco più che quarantenne forse proprio in virtù di quelle decantate doti di impegno e rappresentatività, visto che non ho mai avuto il sostegno di coalizioni che garantiscono il voto a liste “blindate” né, tanto meno, ho mai usufruito delle cosiddette “quote rosa” in ordine alle quali ho già espresso il mio pensiero.
Questo scampolo di consiliatura non può aggiungere nulla alla mia esperienza ed alla mia gratificazione professionale e istituzionale.
Ma sono un Avvocato, vivo nella legge, per quella legge che ognuno di noi dovrebbe rispettare ed applicare a prescindere dagli interessi personali. L’indignazione, se mai, sta nel fatto che sia dovuto intervenire un giudice per sancire un principio la cui chiarissima interpretazione non poteva sfuggire a chi, tra i propri compiti, annovera innanzitutto quello di garantire l’effettività della tutela dei diritti.
Mi auguro che l’impegno, le capacità e la rappresentatività di cui siete dotate vi vengano presto riconosciute, convinta – come sono- che le donne abbiano attitudini professionali ed istituzionali superiori agli uomini, spesso purtroppo tarpate dall’invidia e dal malanimo delle une verso le altre.
Mi aspetto, ovviamente, che ciò avvenga previa rinuncia, da parte vostra, alle garanzie previste dalla legge a tutela del genere.
Un cordiale saluto.
Livia Rossi