LA “RISERVA DI GENERE” NEI CONSIGLI FORENSI

toghe rosa

Non sono mai stata una fervente sostenitrice delle “quote rosa”, anzi ho sempre pensato che le donne – oltre ad essere dotate di maggiore intuito e spirito di sacrificio –  abbiano a disposizione  i medesimi strumenti degli uomini al fine di raggiungere i fini che si prefiggono. Ho sempre dunque guardato con sospetto alla legislazione posta a tutela del genere, leggendola più come un tentativo di ulteriore discriminazione delle donne   – relegate in una sorta di “categoria protetta”  – piuttosto che come un modo per farvorirne l’affermazione professionale, politica, istituzionale.

 

Ma per uno strano scherzo del destino,  sono stata la destinataria della prima pronuncia giurisdizionale emanata a tutela della riserva di genere così come prevista dalla nuova legge sull’Ordinamento Professionale.

 

L’art. 28 della legge 247/12, infatti, prevede (comma 2) “che il riparto dei consiglieri da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio fra i generi” e che (comma 6) “in caso di morte, dimissioni, decadenza, impedimento permanente per qualsiasi causa di uno o più consiglieri, subentra il primo dei non eletti, nel rispetto e mantenimento dell’equilibrio dei generi”.

 

Si tratta dunque di disposizioni normative rientranti in quei provvedimenti atti a promuovere le pari opportunità tra uomini e donne previsti dall’art. 51 della Costituzione.

 

Nel caso che mi ha vista protagonista, l’Ordine degli Avvocati di Roma – a seguito delle dimissioni della Consigliera Tesoriera- aveva deliberato il subentro del primo dei non eletti senza tener conto del suddetto principio, integrando il Consiglio (in cui erano state elette due sole donne di cui una, appunto, dimissionaria) di un ulteriore componente uomo.

 

Lo scetticismo in tema di riserva di genere si è andato dunque a scontrare  con l’esigenza di rigore in tema di interpretazione e rispetto delle leggi che, nell’ambito di un personalissimo conflitto interiore, ha avuto la meglio determinandomi ad agire ed a conseguire il prevedibile successo.

 

Il TAR Lazio, investito della questione, ha affermato infatti l’irragionevolezza dell’assunto sostenuto dall’Ordine degli Avvocati di Roma laddove avrebbe inteso scindere in due un’unica disposizione (art. 28 co. 6 L. 247/12) ritenendo la prima parte (sul subentro del primo dei non eletti in caso di dimissioni di un consigliere) suscettibile di immediata applicazione ed invece la seconda (nel rispetto e mantenimento dell’equilibrio dei generi) bisognevole del regolamento attuativo.

 

La vicenda ha costituto, tuttavia, anche spunto di riflessione ulteriore.

 

Oggi oltre il 40% degli avvocati iscritti all’Albo di Roma è costituito da donne . Se si suddivide il dato per fasce d’età risulterà, tuttavia, che a fronte di una, seppur esigua, prevalenza maschile, negli ultimi anni gli avvocati donna costituiscono la maggior parte degli iscritti.

 

Ciò nonostante la rappresentanza istituzionale è ancora, per la stragrande maggioranza, riservata agli uomini. I Consigli dell’Ordine annoverano fra i loro componenti meno del 25% di di donne. Di molto minore la percentuale di donne che ricoprono cariche consiliari.

 

Indubbiamente il problema della maternità e degli impegni familiari difficilmente conciliabili incide non poco, ma non appare idoneo né sufficiente a giustificare il deficit di rappresentanza femminile nelle istituzioni forensi. Basti pensare alle donne magistrato che , pur godendo di tutte le garanzie predisposte dalla legge per la tutela della maternità nel settore pubblico, annoverano una scarsa presenza femminile nelle sedi istituzionali e di rappresentanza della categoria.

 

Oltre ad una fisiologica residua resistenza culturale verso una competizione tesa a conseguire una posizione di potere ritenuta tradizionalmente appannaggio maschile, non vi è dubbio che siano le donne stesse ad autoescludersi, rifiutando la gravosità dell’impegno, difficilmente conciliabile con la vita familiare.

 

Lo si deduce scorrendo le liste dei candidati alle elezioni forensi , dove la percentuale delle candidate donne è di media inferiore al 25% del totale dei candidati. Mentre se si va a confrontare la percentuale degli eletti rispetto ai candidati divisi per genere se ne ricava che la media tra uomini e donne è più o meno la stessa. Prova evidente che all’impegno viene dato riconoscimento a prescindere dal genere.

 

In quest’ottica la legislazione posta a favore del genere può avere il pregio di costituire lo stimolo per una più consapevole presa di coscienza da parte delle donne avvocato delle loro capacità nonché quello, per i colleghi uomini, di incoraggiarne e determinarne il coinvolgimento.

 

Il graduale venir meno del deficit di rappresentanza negli organismi istituzionali  sarà una vittoria di tutti e non  delle sole donne.

 

Livia Rossi

Livia Rossi

Livia ROSSI è nata a Roma il 26 agosto 1961. Nel 1989 si è iscritta nell’Albo dei Procuratori Legali e nel 1991 in quello degli Avvocati previo superamento del relativo esame. Dal febbraio 1999 è cassazionista. Dal 1986 al 1993 ha collaborato , come cultore della materia , con il Prof. SPASARI presso la terza Cattedra di diritto penale della Università “LA SAPIENZA”. Dal 2004 al 2011 è stata Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma con i seguenti incarichi : Coordinatore della commissione formazione permanente, Coordinatore della commissione per i rapporti internazionali, Coordinatore della commissione deontologica, Coordinatore della Conferenza dei Giovani Avvocati, responsabile dell’Ufficio Disciplina. Dal 2007 è membro della Commissione di Appello Federale della danza sportiva. Svolge attività professionale in materia penale prevalentemente in campo giudiziale. Dal mese di luglio 2011 è membro del Consiglio Direttivo della Scuola di Specializzazione nelle professioni legali presso l’Università Europea di Roma.