Separazione giudiziale trasformata in consensuale innanzi al giudice istruttore: il termine per la proposizione della domanda di divorzio è di sei mesi decorrenti dall’udienza presidenziale – Tribunale di Verona, sentenza n°761/2020 del 16 maggio 2020

avv. Luigi Romano

L’art. 3, comma 4, della legge n°898/1970 stabilisce che “…per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta”.

Qualora, pertanto, i coniugi abbiano convenuto di trasformare il procedimento di separazione giudiziale in consensuale nella prima fase del giudizio di separazione dinnanzi al Presidente, il termine per proposizione della domanda congiunta di divorzio sarà di 6 mesi decorrenti dalla loro comparizione dinnanzi al Presidente.

Quale termine dovrebbe Cosa accade invece applicarsi nella diversa ipotesi in cui i coniugi, si siano accordati solo in un secondo momento dinnanzi al giudice istruttore, rassegnando conclusioni conformi, recepite nella sentenza che definisce il giudizio?

Il caso

Una coppia di coniugi compariva davanti al Presidente del Tribunale di Verona, in sede di separazione giudiziale, giungendo successivamente ad un accordo dinnanzi al giudice istruttore, recepito nella sentenza conclusiva del predetto giudizio.

A distanza di 11 mesi dalla loro comparizione personale, la coppia proponeva congiuntamente domanda di divorzio. Il Tribunale, tuttavia:

  • rappresentava che l’art. 3 della legge sul divorzio disciplinava unicamente l’ipotesi di conversione del rito nella fase presidenziale del giudizio di separazione;
  • rilevava che il predetto ricorso era stato depositato prima del decorso del termine di un anno dalla pronuncia della sentenza di separazione;
  • rappresentava l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale relativamente al termine da computare – di 6 mesi ovvero di 12 mesi – ai fini dell’istaurazione del divorzio, nell’evenienza in cui la trasformazione del giudizio di separazione da giudiziale a consensuale fosse avvenuto innanzi al giudice istruttore;
  • invitava pertanto le parti ad interloquire sulla procedibilità della domanda.

La decisione

I giudice veronesi, con la sentenza in oggetto, affermano la procedibilità della domanda congiunta di divorzio presentata dai coniugi nel termine di 6 mesi decorrenti dalla loro comparizione dinnanzi al Presidente, ritenendo che:

  • A fronte dell’intendimento dei coniugi di risolvere consensualmente un giudizio di separazione originariamente incardinato come giudiziale, ancorare il diverso decorso dei termini per instaurare il giudizio di divorzio al tipo di atto che abbia definito la separazione (decreto di omologazione o sentenza) costituisce una disparità di trattamento tra situazioni processuali sostanzialmente identiche, sebbene formalmente distinte in relazione alla natura del provvedimento conclusivo del giudizio, che non pare trovare un aggancio univoco nel testo dell’art. 3 della l. 898/1970”;
  • il ‘giudizio contenzioso trasformato in consensuale’ a cui fa riferimento l’art. 3, n.2, lett. b) l.898/1970 può essere considerato in termini altrettanto ‘non tecnici’, non già come un rinvio alla fattispecie di cui all’art. 711 c.p.c., ma come sineddoche comprensiva di tutte le ipotesi di separazione definite in esito a un accordo dei coniugi, tanto mediante decreto di omologazione, che di sentenza su conclusioni conformi”;
  • Siffatta proposta interpretativa, oltre a prevenire il rischio della disparità di trattamento sopra profilata, pare maggiormente idonea a soddisfare le esigenze di accelerazione e di ragionevole durata del processo perseguite dalla l. 55/2006, che risulterebbero viceversa frustrate, ove si accedesse a un’interpretazione eccessivamente restrittiva del richiamato art. 3, n.2, lett. b) l.898/1970”.
Luigi Romano

Avvocato del foro di Roma, cofondatore dello studio Legale Martignetti e Romano, docente di diritto civile nei corsi di preparazione per l’esame d’avvocato e collaboratore delle cattedre di diritto dell’Unione europea, European Judicial Systems e della Clinica legale CEDU presso l’università di Roma Tre. Ho completato i miei studi accademici con un master in Homeland Security presso il Campus Bio Medico e con un dottorato europeo in diritto di famiglia nel diritto internazionale privato dell’Unione europea tra l’università di Roma Tre, Lund University (Svezia) e la Universidad de Murcia (Spagna). Credo fermamente nella funzione sociale che l’avvocato ha l’onore e l’onere di esercitare e nello spirito di colleganza e unione che aimè sempre meno si riscontra tra le aule di Tribunale. Da poco più di un anno mi sono affacciato con passione nel mondo della politica forense assieme ad AFEC, come membro del suo rinnovato Direttivo, con la fiducia che uniti potremo ridare il lustro e il prestigio che il nostro Ordine ha avuto in passato e che deve tornare ad avere. All’interno di Afec mi occupo dell’organizzazione dei convegni, della redazione di articoli giuridici e note a sentenza, specie in ambito di diritto di famiglia, diritto civile, diritto internazionale privato e diritto dell’Unione europea.