TANTO TUONO’ CHE PIOVVE

(L’AVVOCATURA E LA MEDIAZIONE DOPO LA CORTE COSTITUZIONALE)

 

La semplice notizia che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del decreto legislativo 28/2010 per eccesso di delega, ha già scatenato i commentatori. Si leggono proclami come “i cittadini liberi dalla mediazione” ovvero -e d’altra parte -la preoccupazione per i tanti investimenti (di tempo, studio e denaro) che “andrebbero in fumo“.
Anche se si leggono commenti più equilibrati, non c’è dubbio che la (nuova) polarizzazione dello scontro sulla mediazione (in se), è un pericolo gravissimo dal quale dovremmo rifuggire, ma che invece caratterizza stabilmente le ultime stagioni della politica forense.
Ma, andiamo per ordine:
1. La Corte costituzionale poteva forse salvare la norma ma non ha inteso farlo. Questo è sicuramente un segnale politico. A prescindere da quelle che saranno le argomentazioni poste a fondamento della pronuncia, il dato letterale della norma è chiaro: l’art.60 della legge 69/2009 non menziona mai direttamente ed espressamente l’obbligatorietà.
E’ dunque evidente che il primo bocciato è il legislatore delegato, soggetto apparentemente non identificabile, ma che nel caso di specie ha nomi, cognomi e responsabilità politica.
L’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia è quel soggetto che ha formulato la norma e -contro ogni evidenza e buon senso -l’ha difesa, impedendo altresì al Ministro (all’epoca Alfano) ogni possibile utile dialogo con l’Avvocatura, quando questa era insorta e chiedeva modifiche sostanziali. Sarà oggi la Prof.ssa Severino libera da tali influenze ? Lo speriamo, ovviamente.
Da parte sua, l’avvocatura ha avuto la responsabilità gravissima di perseguire il muro contro muro, invece di proporre modifiche centrali e sostanziali volte a rendere utile ed effettivo il procedimento, ma la responsabilità ancor più evidente e grave -ed oggi conclamata dalla pronuncia della Consulta -è di quei burocrati che hanno voluto imporre all’Avvocatura e contro l’Avvocatura norme paternalistiche e demagogiche destinate al fallimento.
Oggi non conta più se la deflazione è derivata dall’aumento vertiginoso ed ingiustificato del contributo unificato (perchè l’avvocatura non si è incatenata davanti ai tribunali per protestare?) e non certo per effetto della mediazione. Conta che la politica e il Ministro comprendano che la via imboccata con il decreto legislativo 28 è una via perniciosissima.
2. Un altro aspetto kafkiano del dibattito che si è generato è che le altre questioni che pure erano sottoposte al vaglio della Consulta sembrano sparite. Nessuno si è
ricordato che -in particolar modo dal Tar Lazio -erano state sollevate serie questioni sulla organizzazione degli enti e sulla figura e formazione del mediatore. Tutte questioni di cui non vi è nessuna traccia neppure nel comunicato stampa della Corte.
Possibile che non siano state decise ?
Ancora una volta, dunque, si tratterà di attendere la motivazione e leggere compiutamente la pronuncia.
3. Ma torniamo alla polarizzazione dello scontro: oggi abbiamo visto ancora una volta le scorie del dibattito distorto che si è svolto sulla mediazione, dibattito causato da una norma sbagliata e paternalistica. Chi oggi ha vinto tenta di accreditare l’idea (per spenderla nel prosieguo) che la Corte costituzionale abbia bocciato la mediazione IN SE e non le modalità con le quali il legislatore delegato ha adempiuto (malissimo) al compito affidatogli dal legislatore delegante.
Ancora una volta si cerca di spostare il dibattito dal COME fare della mediazione uno strumento utile ai cittadini (e di converso ai professionisti che quei cittadini sono chiamati a SERVIRE) al SE della mediazione.
Chi invece oggi teme di aver perduto tempo e denaro, confida nell’immediata riproposizione della norma -magari per decreto -al fine di chiudere subito il vulnus e, possibilmente, non parlarne più. Gli organismi privati si sentono doppiamente defraudati, anche perché nella temperie di polemiche seguite all’introduzione della normativa, sono stati accusati, senza mezzi termini, di “mettere le mani in tasca agli avvocati” (confondendo -come al solito -in un solo calderone, tutti e ciascuno i fornitori di servizi formativi, servizi dei quali una classe forense moderna e avveduta NON potrebbe fare a meno).
Ho personale simpatia per questa posizione e non solo perché quell’accusa è stata gentilmente rivolta a chi -come il sottoscritto – ha partecipato e coordinato (anche a titolo gratuito) la formazione dei mediatori, ma perché si è voluto strumentalmente dimenticare che l’apertura (da parte del D.LGS. 5/2003) agli organismi privati è stata una conquista di CIVILTA’ GIURIDICA per il nostro paese.
Non mancherò mai di ripeterlo: è stata una lunga lotta ed una conquista quella di ritenere che la conciliazione e la mediazione NON fossero emanazione diretta della GIURISDIZIONE e quindi NON fosse attività spettante al Giudice.
In questa opera, gli organismi privati hanno avuto un ruolo FONDAMENTALE e pioneristico; senza di loro la cultura della conciliazione e della mediazione non avrebbe avuto alcuna cittadinanza tra i nostri giuristi e, sopratutto, non avremmo avuto la possibilità che si formassero i primi conciliatori ed i primi formatori che sono poi stati chiamati a svolgere a loro volta l’attività di formazione una volta entrato in vigore il d.lgs. 28/2010.
Non di meno, esiste una differenza abissale -anche giuridica -tra ruolo storico e civico e DIRITTI QUESITI.
Se gli organismi dovessero ritenere di poter fondare la loro legittimazione sul fatto che hanno sostenuto investimenti sulla base delle prospettive (imprenditoriali) derivanti da una legge ordinaria, HANNO GIA’ PERSO, proprio perché le leggi ordinarie si devono poter cambiare e se ciò avvenisse oggi non si rientrerebbe nei diritti quesiti, ma solo nel rischio di impresa.
D’altra parte, quando il (secondo) decreto attuativo ebbe a introdurre la derogabilità dei minimi, consentendo a molti organismi di applicare tariffe irrisorie prossime al dumping, nessuno ebbe il coraggio di invocare i diritti quesiti.
Viceversa, se l’Avvocatura fa battaglie sui minimi tariffari dovrebbe farle SEMPRE e a maggior ragione quando -come in questo caso -è in gioco la qualità di un servizio reso ai cittadini.
Invece, i nemici istituzionali della “mediazione privata” hanno goduto del cannibalismo che questa norma ha generato.
4. LO SCENARIO A VENIRE: I “nemici” della mediazione, istituzionali e non, e gli Organismi privati hanno dunque mille motivi per continuare la loro personale guerra di trincea.
Il tutto in danno dell’Avvocatura e (ancor prima dei cittadini).
Ebbene, occorre essere chiari: Non ce lo possiamo permettere.
Se le vicende seguiranno la falsariga sopra descritta, lo scenario è già tracciato.
Ancor prima della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale inizierà un braccio di ferro sotterraneo fra chi vorrà bloccare la reintroduzione dell’obbligatorietà e chi la vorrebbe per decreto notturno.
La posta in gioco non è limitata alla sola mediazione.
Il Governo Monti ha dato ogni possibile prova di voler dare segnali all’Unione Europea di attenzione e adeguamento del nostro sistema. La Commissione ha (inopportunamente) da parte sua più volte lodato la normativa sulla mediazione. In altre parole, di fronte all’emergenza della giustizia civile, il Governo non lascerà svaporare uno dei tanto decantati strumenti deflattivi adottati nel recente passato. Ovvero, non consentirà che ciò possa avvenire senza introdurre ALTRI strumenti deflattivi a carattere drastico. Lo sappiamo tutti, il Governo sta da tempo accarezzando l’idea di introdurre SEZIONI STRALCIO, che ricordiamo inequivocabilmente come la pagina in assoluto più NERA della storia giudiziaria recente.
Ciò è quanto ci aspetta se prevarrà il muro contro muro sulla mediazione.
5. SOLUZIONI ? La conduzione da parte dell’esecutivo delle modifiche relative all’appello e alla introduzione per decreto delle tariffe non tariffe e della altre norme imposte dall’alto è la dimostrazione dell’assenza di dialogo fattivo tra classe forense e istituzioni. 
Tocca anche a noi farci carico di proporre soluzioni SEMPLICI che abbiano chiaro il segno dell’utilità GENERALE.
Dobbiamo saper essere rivoluzionari in senso etimologico: una delle lezioni della migliore dottrina in tema di mediation e che la causa del problema non potrà mai costituirne la soluzione.
Nel nostro caso, forse riusciremmo a mettere tutti d’accordo se proponessimo
A) uno strumento VOLONTARIOnel quale la parte CHE VUOLE costringere l’altra all’accordo possa promuovere la mediazione e in quella sede avanzare una proposta (fatta dalla PARTE, non dal MEDIATORE) che -come già avviene nell’art.92 cpc ­vincoli poi il Giudice a condannare alle spese chi non abbia aderito alla proposta ragionevole e secondo diritto. 
B) Il modello descritto eviterebbe l’inutilità della mediazione in tutte quelle volte in cui NESSUNA delle due parti vuole andare, ma al contempo assicurerebbe -quando almeno una vuole tentare davvero -che il suo comportamento virtuoso sia correttamente valutato e ricompensato. Ciò peraltro sarebbe altresì compatibile con il mantenimento della sanzione (art.8 comma 5 d.lgs. 28/2010) della condanna al pagamento di una somma pari al contributo unificato per la parte che non abbia partecipato senza giustificato motivo. 
C) Introdurre una pluralità di forme di mediazione che non siano solo lo scimmiottamento della mediation sugli interessi ma costituiscano anche strumento snello e indipendente di valutazione e liquidazione del danno (sul modello della early indipendent evaluation) per tutti quelle controversie nelle quali occorre solo e rapidamente risarcire un danno. 

 

Poche semplici mosse, per uscire da un guado altrimenti mortale ….
Andrea Melucco

L’Avv. Andrea Melucco, nato a Roma nel 1966, si laurea in giurisprudenza nel 1990, ottiene il titolo di procuratore legale nel 1993, nel 1997 quello di Avvocato ed è abilitato al patrocinio presso la Suprema Corte di Cassazione nel 2005. E’ stato docente di procedura civile presso l’Università La Sapienza di Roma dal 1990 al 2008, docente per le Scuole Forensi di Roma, Viterbo e Frosinone. Ha ricoperto la carica di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma per il biennio 2004-2005. E’ docente accreditato per la formazione dei conciliatori dal 2007, Professore a contratto in materia di mediazione per le Università di Roma e Teramo. Nel 2011 è stato nominato Presidente della Commissione d’esame per l’abilitazione alla professione di Avvocato (Distretto del Lazio) per l’anno 2011-2012. Ha partecipato alla redazione di riviste, trattati e manuali in materia processuale e fallimentare ed è autore di oltre trenta articoli pubblicati dalle riviste specializzate.