Corte costituzionale n. 235/2014: cestinatela!

Pubblico il commento del mio amico Marco Bona sulla sentenza della Corte Costituzionale con la quale sono state respinte le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 139 del Codice delle Assicurazioni, in forza del quale le c.d. micropermanenti vengono trattate e liquidate con sistemi di automatismi tabellari e, incredibili auditu, il diritto alla salute retrocesso a mero interesse economico.

Ringrazio il portale RI.DA.RE.  per l’opportunità di approfittare di queste discussioni.

RIDARE

 

Premessa: una sentenza reazionaria, carente e nociva (goodbye real law!)

Alla fine la risposta è pervenuta, ma è reazionaria e faziosa: un autentico inchino – anomalo per la Consulta – agli argomenti più cari alle compagnie assicuratrici e – fatto ancor più singolare per una Corte che solitamente redige dotte ed approfondite motivazioni – una sintetica ed incondizionata adesione ai contributi della dottrina filo-assicurativa.

La risposta pende tutta da una parte: dalla parte dell’ANIA e delle assicurazioni, nonché dei governi lobbizzati che, da destra a sinistra, hanno continuato ad assecondare i desiderata della compagine assicurativa, ridimensionando i diritti dei danneggiati con il falso pretesto di diminuire i premi (obiettivo, comunque, mai raggiunto).

Basti pensare che il diritto al risarcimento integrale del danno, costituzionalmente tutelato dinanzi alla lesione di beni fondamentali, viene oggi degradato dalla Corte a mero «interesse» economico del danneggiato equiparabile in tutto e per tutto all’interesse dell’assicurato (cioè del responsabile civile!) a pagare premi di polizza calmierati e, in definitiva, all’interesse delle assicurazioni (ora anche delle banche) a risarcire di meno. Anzi, gli interessi economici degli assicurati e, soprattutto, delle assicurazioni (al centro della decisione si pone non già la tutela degli assicurati, ma la protezione del «valore dell’iniziativa economica privata» delle seconde) s’impongono sulla tutela rimediale dei diritti dei danneggiati, sovvertendosi così, a totale beneficio delle tasche della compagine assicurativa (lungi dall’essere in crisi nel ramo r.c.a.), i principi cardine del sistema risarcitorio.

La sentenza è pure deludente per le motivazioni addotte; non solo è del tutto sbilanciata, ma è pure priva di validi argomenti giuridici.

Come si dimostrerà oltre, infatti, le motivazioni offerte dalla Consulta:

  • evidenziano come il giudizio di costituzionalità sia stato condotto in spregio dei suoi più basilari canoni;
  • si risolvono in asserzioni prive di qualsivoglia spiegazione/prova per contraddire le tesi opposte (mai considerate): per es., non si spiega per quale ragione il danno biologico sarebbe tale da includere il danno morale; si elogia l’art. 139 Cod. Ass. in quanto lascerebbe «comunque» spazio alla personalizzazione del danno biologico (inclusivo di ogni possibile pregiudizio), senza rispondersi all’obiezione per cui il “cap” del 20% (previsto per i soli sinistri stradali) non garantirebbe il risarcimento integrale in tutta una serie di rilevanti casi sì particolari, ma neppure infrequenti; si giustifica la legittimità di tale norma sulla base dell’obiettivo di conseguire una diminuzione dei premi delle polizze, senza addursi alcuna dimostrazione di una correlazione fra i livelli di questi e la personalizzazione dei pregiudizi;
  • sono affette da citazioni giurisprudenziali “a senso unico”: per es., la storica sentenza della Corte cost., 14 luglio 1986, n. 184 scompare di scena insieme ad altri precedenti della stessa Consulta e della Cassazione; le pronunce richiamate sono interpretate “a piacimento”; ad usum Delphini è menzionata la sentenza della Corte di Giustizia UE in Petillo;
    • tradiscono consolidate statuizioni della stessa Consulta;
    • per quanto concerne la ricomprensione del danno morale entro il limite del quinto previsto per la personalizzazione del danno biologico si risolvono in un’interpretazione contra legem;
    • ignorano importanti indicazioni della medicina legale, che ci insegna che nella fascia dall’1% al 9% rientrano i.p. degne di liquidazioni personalizzate senza costrizioni, così come ci dimostra che pregiudizi biologici e morali sono danni-conseguenza distinti.

Inoltre, le superficiali motivazioni della sentenza, ove trasformano senza remore i diritti costituzionalmente fondati in meri interessi economici, rilevano una totale supremazia del ragionamento economico a scapito di quello giuridico, esitando, pertanto, esse in una netta relativizzazione (se non distruzione) di quel coerentissimo sistema giuridico (violazione di un diritto garantito dall’ordinamento à diritto ad una riparazione integrale, cioè non discriminatoria e personalizzata) che il diritto (in primis Consulta stessa e Cassazione) aveva  faticosamente affermato a partire dagli anni settanta.

Più nello specifico, si sostituisce il bilanciamento giuridico tra diritti (N.B.: diritti!) con il bilanciamento economico tra interessi, cioè con uno scenario di nuovi pesi e contrappesi non più centrati sui diritti degli individui (ridimensionati a meri interessi), ma del tutto arbitrari in quanto rimessi alle opinioni/valutazioni economiche di questo o quel giudice circa gli “interessi” in gioco (opinioni vieppiù culturalmente condizionate dai “poteri forti”).

Il ragionamento economico condotto, peraltro, risulta estremamente banale e privo di dimostrazione: «l’interesse risarcitorio … del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi», affermazione che non è accompagnata da alcuna prova circa la interazione tra livello dei risarcimenti ed entità dei premi, posto che tale interazione possa in effetti comprimere la tutela rimediale di diritti fondamentali.

Deve pure considerarsi come nel nome dell’interesse degli assicurati in realtà si miri a garantire gli interessi delle assicurazioni, ammantate di fini solidaristici, quando tutti sappiamo che queste operano nel ramo r.c.a. per profitto e non per ragioni caritatevoli, il tutto in un periodo in cui le assicurazioni sono (da più di un decennio) in attivo (non già per il livello dei premi, ma per altri fattori, tra cui la diminuzione dei sinistri ed i regali provenienti dai governi).

Questo imporsi (immotivato) degli interessi economici su quelli giuridici è il profilo che più colpisce: allarmante è la vittoria sin troppo facile delle logiche economiche (quelle dei “poteri forti”) sulle logiche “tradizionali” del diritto, spazzate via per asserite ragioni e contingenze economiche (a questo giro la “bufala” del livello dei premi delle polizze), tutte da indagarsi nella loro reale portata e quanto alle cause.

Stefano Rodotà ha rilevato una verità che i magistrati non dovrebbero mai scordare: «Non sono i diritti ad essere insaziabili, lo è la pretesa dell’economia di stabilire quali siano i diritti compatibili con essa» (S. Rodotà, Perché i diritti non sono un lusso in tempo di crisi, 20 ottobre 2014, www.repubblica.it.).

Purtroppo, la Consulta si è dimenticata di questa prospettiva.

Essa, inoltre, non ha considerato una lezione fondamentale, resa chiarissima dalle resistenze degli interpreti (giudici di merito in primis, ma anche Cassazione stessa)agli interventi reazionari del legislatore lobbizzato così come alle SS.UU. del “San Martino 2008”, oltre che confermata dal diritto comparato:  chi troppo regala alla “tort reform” (cioè alle politiche restrittive della tutela risarcitoria) finisce per dare luogo ad ulteriori annose contese, a discapito della certezza del diritto in ogni suo ambito, dei cittadini e del sistema giustizia.

Questa miope visione della pronuncia – inquietante per il suo provenire dalla Consulta (dalla quale ci si attenderebbe una strenua difesa dei diritti fondamentali) – è, quindi, pure nociva, ciò sia per l’evoluzione futura del diritto in generale (reso incerto ed indebolito dall’affermata supremazia delle logiche economiche) che per i contenziosi in materia di danni alla persona.

 

Cercherò di comprovare, anche in replica al primo (invece positivo) commento apparso su Ri.Da.Re. (D. Spera, Riverberi sulla tabella milanese della pronuncia costituzionale sull’art. 139 Cod. Ass.), per quali ragioni la sentenza è reazionaria, carente e nociva, in definitiva da giubilarsi al più presto.

Marco De Fazi

L'Avvocato Marco De Fazi, classe 1961, si è laureato nel 1986 ed si è abilitato alla professione nel 1990: è cassazionista dal 2002 e lavora nello studio associato di famiglia. Ha ereditato dal padre, Avv. Walter De Fazi (mancato nel 2011 dopo 60 anni di professione), la passione per la responsabilità civile. Ha fatto parte di commissioni di studio consiliari ed associative, ed è stato per dieci anni il rappresentante italiano del network europeo PEOPIL (Pan-European Organization of Personal Injury Lawyers). Parla e scrive fluentemente inglese ed in misura più scolastica francese. Ha fatto parte della Commissione per l'esame di Avvocato 2007 ed è membro storico del Direttivo dell'Associazione Forense Emilio Conte, di cui ora è il presidente. Membro attivo della NIABA, associazione USA di avvocati italo-americani.