L’avvilente situazione italiana e le misure governative che, lungi dal toccare i poteri economico-finanziari internazionali che determinano la crisi, individuano alcuni miseri (in rapporto all’entità del fabbisogno) settori, per colpire gli stessi a costo zero e con provvedimenti inutili, sta deprimendo anche il Foro: intendendo con esso tutti gli addetti al mondo della giustizia, avvocati in primo luogo.C’è, diffuso, un senso generale di rassegnazione: perché tutti (avvocati, giudici, cancellieri, etc.) sanno che nessuno dei provvedimenti presi servirà a migliorare la qualità del sistema, né ad avere un qualsiasi effetto pratico: sia pure a consentire il risparmio di un solo giorno sui tempi di una causa o a far sì che un utente singolo (un “consumatore”, non un potentato economico, quale una banca o una compagnia di assicurazioni) ottenga un qualche vantaggio economico rispetto a prima.
Lo stesso risparmio sulle prestazioni forensi che può conseguire, ad esempio, una banca va, alla fine, a discapito del servizio che essa ottiene: prestazioni necessariamente industrializzate e poco attente ai diritti. Ciò che si traduce in un danno finale per il cittadino: il cliente debitore della banca, trattato sempre più come un insolvente vessato da una sorta di esattore iniquo.
Si è ritenuto di risolvere il problema della giustizia non affrontando le questioni reali e concrete (ciò che avrebbe dovuto portare in primo luogo ad una non comoda riorganizzazione della parte pubblica della giustizia), ma erodendo il diritto di accesso alla giustizia.
Il pericolo di una deriva ancora maggiore di quella che stiamo vivendo è reale e non è avvertito da tutti allo stesso modo: per quanto, anche inconsapevolmente, si avverte un diffuso disagio.
Non lo è nella società, dove la molteplicità e complessità della situazione sociale comporta una necessaria differenziazione estrema: così che alcuni temi assolutamente preminenti e prevalenti del nostro vivere civile passano in secondo piano.
Mi riferisco ai principi essenziali ed intangibili dello Stato di diritto, ai quali pare che si sia completamente abdicato in questo periodo: dimenticando che quando essi sono stati calpestati, in ogni epoca ed in ogni parte del mondo, si è dato luogo a dittature ed a miserie: perché nessuna dittatura è mai stata prospera.
Sembra quasi di assistere ad un primum vivere deinde philosphari che trova fondamento sulla povertà, prima di tutto, di spirito.
La parte più sensibile della Società è chiamata, quindi a reagire e ad urlare il rispetto di principi e diritti inalienabili ed irrinunciabili: che nessun interesse superiore può limitare senza commettere prevaricazione.
Non è il solito assioma libertà/uguaglianza o uguaglianza/libertà secondo la prevalenza che si voglia dare ad un concetto rispetto ad un altro: oggi siamo alla base di tutto ciò, siamo quasi all’epoca pre-unitaria in cui occorre combattere perché la Costituzione non sia solo formale, ma sia un baluardo insormontabile ed invalicabile dei diritti del cittadino (e sarebbe il caso che qualcuno si chiedesse la ragione stessa delle Costituzioni: nate per tutelare la singola persona dai soprusi dello Stato).
Una sensibilità di tal genere non è comune – per quanto incredibile a me possa sembrare – neppure nell’ambito dell’Avvocatura (per quanto qui il disagio sia più diffuso).
In effetti i problemi che dilaniano la nostra categoria sono innumerevoli e di vario genere. Così come l’universo dei 240.000 avvocati italiani è composito e si tormenta anche tra problemi di sopravvivenza materiale: è un concetto da me più volte ribadito che l’Avvocatura negli ultimi decenni ha costituito un ammortizzatore sociale, dando l’illusione a chi, non avendo trovato nulla di meglio, senza vocazione diviene avvocato per coltivare l’illusione di avere un lavoro.
Ecco che allora i problemi di una categoria così variamente composta sono anche e soprattutto di ordine pratico e che quelli di immediata e facile percezione divengono più popolari.
Ma è proprio in una situazione come quella descritta che l’anima più profonda e più sensibile dell’Avvocatura deve emergere e deve farsi portatrice di istanze forse meno popolari, ma di più profondo e duraturo impatto sulla nostra società, sui diritti di noi come cittadini e sul nostro modo di essere avvocati.
La battaglia è difficile e dura ed impari ed il nemico non sempre sarà chiaro a tutti, così come l’obiettivo potrà sembrare a molti una mera futilità.
Così non è e così lo sanno bene anche in alto.
È più facile ed immediata e più popolare e più redditizia (sotto un profilo elettorale) una battaglia per ridurre la fila nelle cancellerie o per conseguire qualche effetto pratico immediatamente visibile.
Questioni importantissime e da perseguire: e merito a chi lo fa.
Ma assieme a queste occorre combattere, ed a fondo e senza timore, sui principi e sui diritti.
Questione che lentamente sta emergendo nei settori più sensibili e più colti. Battaglia che va dichiarata e che non consente di essere combattuta con i soliti sterili strumenti tradizionali della classica protesta forense (per lo più astensione, della quale non frega niente a nessuno). Battaglia che necessità del crearsi e diffondersi di un’opinione che essendo forte ed incontestabile finirà per imporsi nel momento stesso in cui riuscirà ad emergere.
Segnali ce ne sono.
Spunti se ne possono cogliere in vari scritti ed interventi. In questi ultimi giorni, tra i tanti, ci hanno colpito due articoli recentemente pubblicati sul sito dell’Associazione Forense “Emilio Conte”. Ci riferiamo, in particolare, all’intelligente riflessione di Ugo Scuro (“Lo svantaggio concorrenziale degli avvocati” clicca qui per leggere), il quale muovendo da un particolare (l’abuso verso la riserva di consulenza legale da parte di società internazionali) pone problemi di base e di principio; oppure pensiamo alla denuncia di Irene Badaracco (“Cosa rimane del regolamento sul compenso” clicca qui per leggere), la quale denuncia il tentativo di controllo dell’attività e libertà difensiva insito nei principi di applicazione dei parametri per la liquidazione dei compensi professionali (e sta per uscire, da Ianua Editore, nella collana BREVIURIA© un suo commento al d.M. n. 140/12).
Colti interventi sul diritto di difesa saranno, infine, trattati nel convegno“diritto di difesa e la nuova disciplina delle impugnazioni” organizzato da Dante Grossi per il Consiglio dell’Ordine e che si terrà il 6 novembre 2012 nell’Aula Magna della Suprema Corte (di cui abbia già dato notizia in altra parte del nostro sito: clicca qui per leggere).
Qualcosa, insomma, si sta muovendo.
Per ora in ordine sparso e sporadicamente si hanno vari segnali.
Chi saprà coglierli, radunarli ed organizzarli avrà il primato vero dell’Avvocatura, perché portatore dell’esigenza di base e dell’essenza stessa bel nostro essere ad-vocati.