Integra il reato di minaccia a pubblico ufficiale intimidire l’insegnante dell’alunno per incidere sulla sua valutazione – Cassazione Penale, sez. VII^, ordinanza n°14958/2021 del 24 marzo 2021

Come noto, l’art. 336 del codice penale, rubricato “violenza o minaccia a un pubblico ufficiale”, punisce:

  • al primo comma con la reclusione da sei mesi a cinque anni “Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio”;
  • al secondo comma dell’art. 336 c.p., con la reclusione fino a tre anni qualora “il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa”.

Non tutti sanno, tuttavia, che minacciare un insegnante al fine di condizionare la valutazione sul rendimento scolastico dell’alunno, integra la predetta fattispecie delittuosa, poiché il docente, nell’esercizio delle sue funzioni, deve considerarsi un pubblico ufficiale.

Questo è quanto chiarito, dalla Suprema Corte, con la recente ordinanza n°14958/2021, con cui ha confermato la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 336, per aver intimidito l’insegnante del figlio della compagna.

A nulla sono valse le difese, volte a dipingere non già come minatorie bensì di mero disappunto, le frasi proferite dal ricorrente alla docente.

Gli Ermellini, infatti, hanno ritenuto inammissibile il ricorso dell’uomo:

  • in quanto teso unicamente a proporre una diversa lettura della vicenda e delle prove così come valutate nei precedenti due gradi di giudizio;
  • valutando di contro attendibili le dichiarazioni della persona offesa così come il riscontro offerto dagli altri testimoni “…che avevano udito la frase minatoria riportata nell’imputazione, il cui contenuto rendeva palese ed inequivoca la finalità perseguita dal ricorrente, diretta a condizionare la valutazione dell’insegnante sul rendimento scolastico del ragazzo, figlio della convivente”.

Come noto, l’art. 336 del codice penale, rubricato “violenza o minaccia a un pubblico ufficiale”, punisce:

  • al primo comma con la reclusione da sei mesi a cinque anni “Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio”;
  • al secondo comma dell’art. 336 c.p., con la reclusione fino a tre anni qualora “il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa”.

Non tutti sanno, tuttavia, che minacciare un insegnante al fine di condizionare la valutazione sul rendimento scolastico dell’alunno, integra la predetta fattispecie delittuosa, poiché il docente, nell’esercizio delle sue funzioni, deve considerarsi un pubblico ufficiale.

Questo è quanto chiarito, dalla Suprema Corte, con la recente ordinanza n°14958/2021, con cui ha confermato la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 336, per aver intimidito l’insegnante del figlio della compagna.

A nulla sono valse le difese, volte a dipingere non già come minatorie bensì di mero disappunto, le frasi proferite dal ricorrente alla docente.

Gli Ermellini, infatti, hanno ritenuto inammissibile il ricorso dell’uomo:

  • in quanto teso unicamente a proporre una diversa lettura della vicenda e delle prove così come valutate nei precedenti due gradi di giudizio;
  • valutando di contro attendibili le dichiarazioni della persona offesa così come il riscontro offerto dagli altri testimoni “…che avevano udito la frase minatoria riportata nell’imputazione, il cui contenuto rendeva palese ed inequivoca la finalità perseguita dal ricorrente, diretta a condizionare la valutazione dell’insegnante sul rendimento scolastico del ragazzo, figlio della convivente”.
Luigi Romano

Avvocato del foro di Roma, cofondatore dello studio Legale Martignetti e Romano, docente di diritto civile nei corsi di preparazione per l’esame d’avvocato e collaboratore delle cattedre di diritto dell’Unione europea, European Judicial Systems e della Clinica legale CEDU presso l’università di Roma Tre. Ho completato i miei studi accademici con un master in Homeland Security presso il Campus Bio Medico e con un dottorato europeo in diritto di famiglia nel diritto internazionale privato dell’Unione europea tra l’università di Roma Tre, Lund University (Svezia) e la Universidad de Murcia (Spagna). Credo fermamente nella funzione sociale che l’avvocato ha l’onore e l’onere di esercitare e nello spirito di colleganza e unione che aimè sempre meno si riscontra tra le aule di Tribunale. Da poco più di un anno mi sono affacciato con passione nel mondo della politica forense assieme ad AFEC, come membro del suo rinnovato Direttivo, con la fiducia che uniti potremo ridare il lustro e il prestigio che il nostro Ordine ha avuto in passato e che deve tornare ad avere. All’interno di Afec mi occupo dell’organizzazione dei convegni, della redazione di articoli giuridici e note a sentenza, specie in ambito di diritto di famiglia, diritto civile, diritto internazionale privato e diritto dell’Unione europea.