Corollario del principio del superiore interesse del minore è senza dubbio la sua audizione in ogni procedura giudiziaria che lo riguardi.
Detta audizione è divenuta obbligatoria, anche in Italia, a seguito della ratifica, con legge n°77 del 2003, della Convenzione di Strasburgo sullo esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, che all’art. 6 all’uopo espressamente dispone: “Nei procedimenti che riguardano un minore, l’autorità giudiziaria, prima di giungere a qualunque decisione, deve: a) esaminare se dispone di informazioni sufficienti ad fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore e, se necessario, ottenere informazioni supplementari, in particolare da parte dei detentori delle responsabilità genitoriali; b) quando il diritto interno ritiene che il minore abbia una capacità di discernimento sufficiente: – assicurarsi che il minore abbia ricevuto tutte le informazioni pertinenti, – nei casi che lo richiedono, consultare il minore personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore, permettere al minore di esprimere la propria opinione; c) tenere in debito conto l’opinione da lui espressa”.
Come successivamente chiarito dalla Suprema Corte, con sentenza n°16753 del 27 Luglio 2007: “…l’audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano e in ordine al loro affidamento ai genitori è divenuta comunque obbligatoria con l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo sullo esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, ratificata con la legge n°77 del 2003 (Cass. 16 aprile 2007 n°9094 e 18 marzo 2006 n°6081), per cui ad essa deve procedersi, salvo che possa arrecare danno al minore stesso, come risulta dal testo della norma sovranazionale e dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ.)”.
Al fine di conformarsi al suddetto dettato, il Legislatore italiano, con legge n°219 del 10 dicembre 2012, ha espressamente previsto, all’art. 315 bis, co. 3, c.c. che “Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e procedure che lo riguardano”.
Nonostante il decorso di oltre 15 anni dalla ratifica della Convenzione di Strasburgo e di oltre 6 anni dalla predetta novella legislativa, tutt’oggi numerose sono aimè le procedure giudiziarie in cui, in spregio del suddetto chiaro dettato normativo, le corti territoriali assumono decisioni in punto di affido di figli minori senza alcuna previa loro audizione ovvero senza motivare le ragioni poste alla base della loro mancata audizione.
Al fine di chiarire la portata dell’obbligo motivazionale in caso di omessa audizione di un minore infradodicenne, è recentemente intervenuta la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n°10774 del 17 aprile 2019.
I fatti di cui è causa:
Un marito adiva il Tribunale di Busto Arsizio chiedendo pronunciarsi sentenza di separazione personale con addebito alla moglie – la quale aveva abbandonato il tetto coniugale trasferendosi, contro la sua volontà, insieme al figlio infradodicenne in Sicilia – e affido esclusivo in suo favore della prole.
Nel corso del giudizio veniva espletata una CTU, senza, tuttavia, che il consulente incaricato riuscisse né a sentire il minore né ad incontrare la moglie, a causa degli ostacoli frapposti dalla stessa.
All’esito della CTU, il Tribunale, con sentenza:
- disponeva l’affidamento in via esclusiva del figlio minore al padre, con collocamento presso la di lui abitazione;
- addebitava la colpa della separazione alla moglie, per abbandono del tetto coniugale.
La Corte d’Appello di Milano, adita dall’ex moglie, con sentenza del 7 ottobre 2015, riformava tuttavia la sentenza:
- disponendo l’affidamento del figlio minore al Comune presso cui si era trasferita la moglie, con collocamento presso la residenza materna;
- ponendo sul padre l’obbligo di versare all’ex moglie la somma mensile di € 350,00 a titolo di mantenimento per la prole;
- revocando il provvedimento di assegnazione della casa familiare in favore del padre.
Ad avviso della Corte, infatti, la moglie – che medio tempore aveva instaurato una nuova stabile convivenza e avuto un figlio dal nuovo compagno – aveva dato prova che il minore “…si era integrato nella nuova famiglia dove viveva sereno, curato, accudito e pertanto nell’interesse del minore doveva essere valorizzata la continuità e disposta la convivenza con la madre ed il suo nuovo nucleo familiare…”.
Il ricorso per cassazione
Avverso detta pronuncia ricorreva per cassazione il marito dogliendosi, inter alia, dell’omessa audizione del minore nel giudizio e nella CTU espletata in primo grado.
La Suprema Corte, pronunciandosi sul punto, preliminarmente chiarisce, sulla scorta dei principi recentemente affermati, con ordinanza n°12957 del 24 maggio 2018, che, “in tema di separazione personale tra coniugi, ove si assumano provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori”:
- “l’audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullità”;
- a ciò consegue l’obbligo per il giudice “…di specifica e circostanziata motivazione – tanto più necessaria quanto più l’età del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l’obbligo legale di ascolto” qualora:
- ritenga di non procedere a detta audizione ritenendo “…il minore infradodicenne incapace di discernimento…” ovvero “…l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore…”;
- “…opti, in luogo dell’ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico”.
Applicando i suddetti principi al caso in esame, la Suprema Corte rileva come la Corte d’Appello abbia indebitamente riformato la sentenza di primo grado “…senza tuttavia adempiere all’obbligo di motivare con particolare rigore e pertinenza il motivo per il quale riteneva di collocare il minore presso la madre”:
- nonostante non si fosse mai previamente proceduto all’audizione del minore né “…dal giudice né da persona da lui incaricata…”;
- nonostante la stessa CTU non avesse potuto procedere all’audizione del minore né tantomeno ad accertare la capacità genitoriale della madre, “…la quale si era invece sottratta all’esame peritale e nemmeno aveva consentito che vi partecipasse il figlio”.
Di qui, la decisione di cassare la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello, in diversa composizione, affinché si pronunci nuovamente, stabilendo la collocazione del minore e le modalità di frequentazione dello stesso con l’altro genitore, all’esito dell’audizione del figlio, ritenuta a tal fine “determinante”.