Quella doppia “g” (sulla mediazione obbligatoria) ….

Il 24 ottobre 2012 l’Ordine degli Avvocati di Roma ha fatto partire una mail diretta ai 24.000 iscritti dal titolo (testuale): “Illeggittimità costituzionale della mediazione obbligatoria”. La mail si limita a dare conto dell’emanazione, da parte dell’Ufficio stampa della Corte costituzionale, di un avviso con il quale si dava comunicazione dell’esito dell’udienza del giorno precedente (la sentenza dei giudici costituzionali, ovviamente, non era ancora stata pubblicata ma è noto che la ragione della declaratoria di illegittimità riposa solo sul c.d. eccesso di delega).

 

I due firmatari della mail, cioè il Presidente ed il Consigliere Segretario, concludevano la comunicazione con queste osservazioni: “Siamo certi che questa notizia rinsalderà la fiducia di tutti i Colleghi nelle Istituzioni e nella tenuta democratica e costituzionale del nostro Paese”.

 

Debbo dire che la maggior parte dei colleghi con i quali ho scambiato qualche considerazione (non sulla notizia in sé, quanto sulla comunicazione fornitaci dal nostro Ordine professionale di appartenenza) ha notato – con soddisfazione – che fortunatamente l’unico errore lessicale commesso nel titolo è quella orrenda doppia “g”, perché il rischio vero – forte, fortissimo – essendo a Roma, era che il raddoppio potesse anche esserci nel termine “mediazione”, con riguardo alla lettera zeta.

 

Gli strafalcioni lessicali che taluni avvocati commettono, non solo parlando ma addirittura scrivendo, sono a mio avviso ben più idonei a scuotere la stima che i cittadini normalmente ripongono (o dovrebbero riporre) sulla categoria dei difensori dei loro diritti di quanto non lo possa essere il tentativo del Governo di forzar la mano e di introdurre come obbligatorio un istituto giuridico che il Parlamento aveva inteso, invece, solo come facoltativo.

 

Ma a parte ciò, non comprendo per quali “istituzioni” si dovrebbe rinsaldare la fiducia dei cittadini dopo la sentenza della Corte delle leggi, posto che – ad esempio – anche il Governo stesso (quale organismo incarnante a livello statale il massimo livello del potere esecutivo), che si è reso responsabile del vizio stanato dalla Consulta, è una istituzione (o no?).

 

Il nostro Paese, poi, non ha rischiato ragionevolmente alcun tracollo, sotto l’aulico profilo (enfatizzato oltre misura nella mail dell’Ordine forense romano) della “tenuta democratica”, dall’esistenza della mediazione ancorché erroneamente intesa come obbligatoria. Le vicende delle collusioni tra pezzi dello Stato e la mafia, gli episodi di corruzione di dirigenti e funzionari pubblici sempre più ricorrenti e finanche “tollerati” dalla magistratura (che spesso si fa prescrivere in mano azioni punitive doverose, come ha giustamente notato di recente la testata “Il Messaggero” nell’edizione della cronaca cittadina del 7 novembre scorso, parlando di 113 vigili urbani “salvati” dall’inutile decorso del tempo rispetto alla più grande inchiesta di tutti i tempi che li riguardava), la vera e propria persecuzione (attuata finanche attraverso gogne mediatiche) di personaggi scomodi ai poteri forti, costituiscono tutti – questi sì – fenomeni di veri e proprio attentati “alla tenuta democratica del nostro Paese”.

 

La mediazione obbligatoria, avversata dal ceto forense per le ragioni più disparate (non ultima quella meramente corporativa, cavalcata – senza neppure celarlo più di tanto – da quel caratteristico collega meridionale diventato oramai universalmente il contrario di ciò che dovrebbe essere un “Avvocato”) non avrebbe potuto arrivare a tanto; va bene, cioè, la demagogia di una parte dell’Avvocatura (che si appresta a partecipare all’ennesimo ed inutile congresso nazionale), passi l’enfatizzazione (la doppia zeta va solo una volta, eh?) di chi fa politica forense in modo professionistico, si accetti pure il bisogno di chi, ricoprendo cariche di rappresentanza, deve tentar di aizzar le folle: ma c’è un limite a tutto, che è quello della ragionevolezza. Non attribuiamo allora conseguenze nefaste – sul piano della civiltà giuridica e sull’assetto democratico di un Paese – a fenomeni che non ne possono, oggettivamente, avere.

 

Autorevoli colleghi, su questo sito, più esperti certamente di me in materia di studio degli strumenti deflattivi del contenzioso civile, hanno avuto modo di criticare quell’atteggiamento (perennemente improntato al sistematico “no”) di talune parti dell’Avvocatura che hanno esorcizzato la mediazione (ancorché gli strali degli oppositori fondamentalisti si siano apparentemente limitati al contenuto obbligatorio della stessa), e dunque non sto qui a ripetere che in un Paese, ridotto com’è oggi il nostro, il ricorso al giudice per risolvere un conflitto privatistico dovrebbe costituire solo l’estrema ratio. E’ significativo, però, che ci si preoccupi più della pagliuzza che non della trave, armando battaglie ideologiche contro la mediazione e dimenticando che, tuttavia, esistono ben più gravi attentati ai diritti dei cittadini che passano, invece, a volte con la compiacenza di taluni rappresentanti della stessa Avvocatura, assolutamente sotto silenzio.

Rodolfo Murra

Rodolfo Murra vanta una lunga militanza, dopo aver svolto un breve periodo di libera professione, nell’Avvocatura pubblica. Ha diretto l’Avvocatura del Comune di Roma Capitale e quella dell’Acea, ed ora è il Capo dell’Avvocatura della Regione Lazio. Dottore di ricerca in diritto processuale civile è da molti anni docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali presso “La Sapienza”. Autore di vari contributi a carattere scientifico, ha anche diretto con profitto alcune strutture burocratiche (come l’Ufficio Condono Edilizio del Comune di Roma od il Municipio X). E’ stato Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma per quattro anni, ricoprendo anche la carica di Segretario.