Ricorso in Cassazione improcedibile se manca la copia autentica della sentenza impugnata

Fintanto che il processo civile telematico non sarà attivato anche presso la Corte di cassazione, al fini dell’osservanza dell’art. 369 cod. proc. civ., il difensore del ricorrente, che ha l’onere di depositare la copia conforme all’originale del provvedimento impugnato, qualora non abbia disponibilità della copia con attestazione di conformità rilasciata dalla cancelleria, deve estrarre una copia analogica dall’originale digitale presente nel fascicolo informatico e attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità dell’una all’altro, ai sensi dell’ art. I6-bis, comma 9-bis, del d.l. n. 179 del 2012, non soddisfacendo invece le condizioni di legge l’attestazione di conformità apposta direttamente sulla copia del provvedimento eventualmente notificato con modalità telematiche“.

Questo il principio di diritto enunciato dalla Cassazione [Sez. 3 Civ., 09.11.2017 n. 26520] che ha dichiarato improcedibile il ricorso, ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ., in ragione del mancato deposito della «copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta». Dall’esame del fascicolo d’ufficio e di quello dei ricorrenti, infatti, non risultava la presenza della copia autentica della sentenza impugnata, peraltro neppure prodotta dai controricorrenti o dal ricorrente incidentale, ma soltanto la copia della sentenza notificata.

Tenuto conto che il grado di merito si è svolto nelle forme del processo civile telematico, poiché nel giudizio di cassazione non si applica il PCT, il deposito ex art. 369 cod. proc. civ. non può che avere ad oggetto documenti in formato analogico (cartaceo), con applicazione dell’art. 16-bis del decreto sviluppo bis che prevede che il difensore può estrarre copia analogica degli atti processuali e dei provvedimenti giudiziari redatti in formato digitale, attestandone personalmente la conformità della copia al corrispondente atto contenuto nel fascicolo informatico. Le copie così realizzate, munite della predetta attestazione di conformità, equivalgono all’originale.

«Pertanto, l’onere imposto dall’art. 369 cod. proc. civ. doveva essere adempiuto mediante il deposito di una copia cartacea della sentenza impugnata, asseverata dallo stesso difensore del ricorrenti come conforme all’originale digitale presente nel fascicolo informatico».

Nel caso in cui la sentenza che si intende impugnare venga notificata al ricorrente a mezzo di posta elettronica certificata (PEC), «l’attestazione di conformità dovrà comunque essere apposta sulla copia analogica (stampa cartacea) tratta dall’originale digitale contenuto nel fascicolo informatico e non sulla copia notificata telematicamente. Quindi, per creare la copia cartacea conforme all’originale digitale, il difensore deve accedere tramite il PCI al fascicolo informatico ed estrarre da lì la copia da asseverare».

Poiché l’originale del provvedimento è quello digitale presente nel fascicolo informatico, è da quello soltanto che può estrarsi una copia autentica. Se il difensore apponesse l’attestazione di conformità sulla copia del provvedimento che gli è stata notificata, anziché sull’originale scaricato dal PCT, egli attesterebbe la conformità di una “copia della copia”, anziché della copia estratta direttamente dall’originale.

Gli Ermellini quindi ricordano che «qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica anche della relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente ex art. 3-bis, quinto comma, della legge n. 53 del 1994, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare nei termini queste ultime presso la cancelleria della Corte (Sez. 3, Sentenza n. 17450 del 14/07/2017, Rv. 644968). In simili evenienze, dunque, il difensore sarà soggetto a un duplice onere di certificazione: da un lato, deve asseverare come conforme all’originale la copia del provvedimento impugnato estratta dal fascicolo informatico e, dall’altro, deve parimenti certificare le copie cartacee della notificazione telematica ricevuta».

Al ricorrente non resta che pagare le spese di giudizio.

Cristiana Centanni

Titolare dello Studio omonimo, iscritta al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma dal 16 dicembre 1996 e all’Albo Speciale Cassazionisti dal 24 aprile 2009, si è occupata, subito dopo la laurea in giurisprudenza, ottenuta con lode, della materia delle opere pubbliche e del relativo contenzioso giudiziale civile, amministrativo ed arbitrale. Coltiva e pratica il diritto delle obbligazioni contrattuali in generale ed è esperta nella materia dei contratti pubblici di appalto di lavori, servizi e forniture, nel diritto civile e immobiliare. L’amore per la politica forense, specie nel difficile momento di oscurantismo che l’Avvocatura sta attraversando, hanno spinto l’Avv. Cristiana Centanni a far parte di AFEC, Associazione che, tra l’altro, si propone di sostenere quanti intendono intraprendere la professione forense, tanto affascinante quanto complessa.