Valida la clausola vessatoria anche se sostanzialmente illeggibile

«In materia di contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in modo uniforme determinati rapporti (nella specie, utenza telefonica), la clausola con cui si stabilisce una deroga alla competenza territoriale ha natura vessatoria e deve essere, ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ., approvata espressamente per iscritto. Qualora la medesima risulti scarsamente o per nulla leggibile, sia perché il modello è in fotocopia sia perché i caratteri grafici sono eccessivamente piccoli, il contraente debole può esigere dalla controparte che gli venga fornito un modello contrattuale pienamente leggibile; ma, ove ciò non abbia fatto, non può lamentare in sede giudiziale di non aver rettamente compreso la portata della suddetta clausola derogatoria».

Questo il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione[1] che, con la decisione in argomento, si è posta il problema di quale efficacia si debba ricondurre ad una clausola vessatoria in presenza di sottoscrizione, per approvazione, di un documento redatto a caratteri molto piccoli e pressoché illeggibile.

Per esplicita previsione dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ., non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, tra le altre, la deroga alla competenza territoriale. Il primo comma dello stesso art. 1341 cod. civ. precisa, tuttavia, che le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro «se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza».

Ma cosa accade se la clausola vessatoria è scarsamente leggibile?

Ebbene, gli Ermellini, confermando un indirizzo interpretativo seppure risalente nel tempo, hanno stabilito che «l’eventuale illeggibilità di una o più clausole vessatorie non esonera il contraente debole dall’onere di vigilare affinché non vengano apposte firme “ad occhi chiusi”; l’art. 1341, primo comma, cod. civ., prevede, come si è visto, l’efficacia delle clausole che il contraente avrebbe dovuto conoscere con l’ordinaria diligenza, per cui la società oggi ricorrente non può addurre, a sostegno della propria tesi, il fatto che la clausola in questione non fosse «chiaramente comprensibile e decifrabile».

E così la Corte di Cassazione, respingendo il ricorso di una Società, che pure in primo grado si era vista riconoscere un risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti all’interruzione della linea telefonica ed alla conseguente perdita di numerose opportunità lavorative, ha chiarito che era onere della società esigere dalla controparte un modello contrattuale pienamente leggibile, in guisa rigettando il ricorso proposto.

[1] Civ. Ord. Sez. 6, 12.02.2018 n. 3307

Cristiana Centanni

Titolare dello Studio omonimo, iscritta al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma dal 16 dicembre 1996 e all’Albo Speciale Cassazionisti dal 24 aprile 2009, si è occupata, subito dopo la laurea in giurisprudenza, ottenuta con lode, della materia delle opere pubbliche e del relativo contenzioso giudiziale civile, amministrativo ed arbitrale. Coltiva e pratica il diritto delle obbligazioni contrattuali in generale ed è esperta nella materia dei contratti pubblici di appalto di lavori, servizi e forniture, nel diritto civile e immobiliare. L’amore per la politica forense, specie nel difficile momento di oscurantismo che l’Avvocatura sta attraversando, hanno spinto l’Avv. Cristiana Centanni a far parte di AFEC, Associazione che, tra l’altro, si propone di sostenere quanti intendono intraprendere la professione forense, tanto affascinante quanto complessa.